Il regista Patricio Guzmán - Ansa
«La storia del Cile è la storia di un lungo “encierro”’, di una chiusura prima come colonia, poi sepolto dalla dittatura di Pinochet e dalle nefaste conseguenze del modello neoliberista. Con l’elezione di Gabriel Boric il Paese entra nella sua storia attuale». Patricio Guzmán, 78 anni, regista, esiliato a Parigi dal ’74 dopo il golpe di Pinochet, non aveva dubbi sull’esito del ballottaggio, che ha portato alla Moneda il 35enne leader della coalizione di sinistra, con un’affermazione storica. Da «speleologo umanista» Guzmán ha costruito la sua ampia filmografia scandagliando l’identità del Cile, pubblica e privata, a partire da La batalla de Chile fino all’ultimo La cordigliera dei sogni, premiato a Cannes come migliore documentario, in lizza come migliore film iberoamericano ai prossimi Goya. E in cui esplora la solida muraglia delle Ande, che copre l’80 per cento del territorio cileno, alla quale la gente dà le spalle. La metafora profetica di un Paese che, 30 dopo la fine della dittatura, ha rischiato di consegnarsi all’ultradestra per la fragilità della sua memoria. «Con Boric si è imposta una nuova generazione che guarda al futuro, poiché Kast rappresentava un grottesco ritorno a un passato, che nessuno vuole», assicura.
Il Cile ha voltato pagina, 15 anni dopo la morte di Pinochet?
Dal golpe contro Allende, il Cile ha vissuto interrato prima dai militari e poi da un’oligarchia economica che dagli anni Ottanta ha mantenuto il Paese piegato su se stesso. È stato il territorio della destra liberista, in pratica in assenza dello Stato in questioni vitali come educazione, salute, casa, industria. La vittoria di Boric è espressa da milioni di persone che sostengono la democrazia, impegnate nella difesa di uno Stato efficiente.
La frattura nella politica cilena è stata una delle chiavi del trionfo?
Lo è stato il momento di incognita politica provocato dal crollo dei partiti tradizionali al governo negli ultimi trent’anni, che ha polarizzato una massa amorfa intorno a due movimenti, con due fronti. Ma la paura agitata per terrorizzare la gente non è riuscita a imporsi.
Da oggi Boric tenterà di trasformare il Paese: come sarà la nuova fase?
Si apre un periodo appassionante per realizzare molte riforme che la gente anela, per modificare condotte dello Stato verso le maggioranze sociali e continuare il processo per una Costituzione moderna. La società civile ha davanti un compito ingente. Ci sono centinaia di riforme da fare in un Paese che ha vissuto 30 anni nell’inerzia, accumulando disuguaglianze, e dove tutto deve essere migliorato, dal codice stradale al modo in cui si distribuiscono gli alimenti ai poveri. Molti ci stanno già lavorando, è un lavoro collettivo entusiasmante.
Lei ha filmato per settimane il dibattito costituente. Crede possibile un accordo su un testo condiviso da tutti?
Credo di sì. Il clima nella Convenzione è molto lontano dalle tensioni della campagna elettorale. È composta al 70 per cento da forze progressiste e per il 30 per cento dalle destre, ma sono riuscite a dialogare su molti temi. La Costituzione è un trattato generale, lontano dalla politica contingente e ha bisogno di una regolazione ampia. Si arriverà a intese su un testo interessante.