Padre Firmin Gbagoua, vicario generale della diocesi di Bambari, ucciso a colpi di arma da fuoco
Non cessa la violenza nella Repubblica centrafricana. Un altro religioso è stato attaccato nella notte tra venerdì e sabato scorso da un gruppo armato presso la località di Bambari, nell’area centromeridionale del Paese. La vittima è deceduta dopo che un proiettile l’ha colpito all’addome. «Padre Firmin Gbagoua, vicario generale della diocesi di Bambari, è morto in seguito alle ferite causate da un’arma da fuoco – ha dichiarato domenica Uwolowulakana Ikavi, portavoce della Missione Onu per la stabilizzazione del Centrafrica (Minusca) –. Il ricovero in ospedale non è servito a salvargli la vita».
Sebbene sia difficile verificare le dinamiche dell’aggressione in un contesto ancora così insicuro, secondo le prime ricostruzioni il religioso è stato aggredito da membri della comunità dei fulani, un’etnia semi-nomade in gran parte di religione musulmana. «I fulani hanno sparato contro il vicario generale che si trovava a cena con i confratelli all’arcivescovado – ha confermato un residente di Bambari che preferisce mantenere l’anonimato –. Lui era un uomo sorridente che faceva seriamente il suo lavoro».
Le autorità hanno avviato un’inchiesta per far luce sull’aggressione. «Siamo abbastanza certi che gli assalitori avevano intenzione di ucciderlo – ha commentato alla radio locale Ndeke Luka il procuratore della corte d’appello di Bambari, Lambert Yakpoli –. Per ora la Minusca ha arrestato tre membri del gruppo ribelle Upc». Gbagoua è il sesto sacerdote ammazzato dall’inizio della guerra nel 2013.
Altre fonti hanno intanto parlato di giornate segnate dalla violenza nella regione settentrionale del Centrafrica. «Tre gruppi rivali si sono scontrati a Mbrès, una località della regione di Kaga-Bandoro – hanno riferito gli abitanti della zona alla stampa –. I miliziani hanno incendiato diverse case». A causa dell’aggravarsi della crisi centrafricana, i vescovi locali hanno fatto appello alle autorità governative e all’Onu affinché s’impegni di più a «promuovere la giustizia e riportare la pace nel Paese». Un messaggio che però si scontra con gli auspici falliti legati al disarmo dei ribelli. «In Centrafrica le cose vanno di peggio in peggio – affermano gli esperti –. Il territorio è teatro di un conflitto civile segnato da ingerenze di potenze straniere come la Francia, ex potenza coloniale, la Russia e la Cina».
Numerosi gruppi armati stanno infatti mantenendo il controllo del territorio attraverso la violenza. Mentre alcuni sono affiliati alle milizie «anti-balaka» che si definiscono in gran parte cristiane, altri sono guerriglieri dell’ex coalizione principalmente musulmana chiamata Seleka. Da anni i conflitti centrafricani sono legati alle risorse naturali come oro, petrolio e altre materie prime. Oppure all’occupazione di terreni fertili dove poter far pascolare il bestiame. Mentre la maggior parte del Paese continua ad essere in mano a bande di criminali più o meno organizzati, Faustine-Archange Touadera, il presidente centrafricano eletto nel 2016, sta dimostrando di non riuscire a gestire neanche più la capitale.