Brumadinho non dimentica. Trecentosessantacinque giorni dopo il dolore della comunità mutilata è vivo e presente, come hanno dimostrato le lacrime durante la processione organizzata dall’arcidiocesi. Una sofferenza a cui si è unito anche papa Francesco con un toccante video-messaggio. «Offriamo solidarietà alle famiglie delle vittime, sostegno all’arcidiocesi e ha tutti coloro che soffrono», ha detto il Pontefice che ha pregato Dio «affinché ci aiuti a riparare e a proteggere la nostra casa comune». È trascorso un anno da quando un fiume di tredici milioni di tonnellate di rifiuti ferrosi s’è riversato su Brumadinho, nello Stato di Minas Gerais.
Oltre a Schvartsman – sostituito su richiesta delle autorità – quindici al vertice del maggior produttore mondiale di ferro – con un business da 32,5 miliardi e 55mila dipendenti – sono stati accusati di omicidio e devastazione ambientale, delitti per cui rischiano tra i 12 e i 30 anni di prigione. Secondo i pm incaricati delle indagini, Vale sarebbe stata a conoscenza del precario stato dell’invaso di Brumadinho fin dal novembre 2017. E avrebbe ignorato l’allarme, con la complicità di Tüv Süd. Affermazioni di fronte alle quali il colosso s’è definito «perplesso», mentre la società tedesca ha ribadito la propria «piena collaborazione» con le autorità per chiarire le cause della tragedia.
«Era un venerdì, poco dopo mezzogiorno. I dipendenti stavano mangiando nella mensa», prosegue Marcela. Inclusa la persona incaricata di suonare l’allarme. Che, per questo, è rimasto muto, mentre il gigantesco cumulo di rifiuti seppelliva la città. «Non è stato un incidente. Ma il risultato di continue violazioni dei diritti delle comunità, “sacrificate” sull’altare di un modello economico predatorio – afferma Carolina de Moura Campos, dell’Associazione Jangada impegnata contro gli abusi delle imprese minerarie –. Dobbiamo avere il coraggio di dire no».