venerdì 16 ottobre 2015
L’Onu: «Crimini raddoppiati in due decenni». Le favelas nel mirino di agenti-killer e narcos. 
Il vescovo Steiner: «Troppo comodo criminalizzare questi ragazzini»
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Il 29 settembre, Eduardo Felipe Santos, 17 anni, è stato ucciso dalla polizia nella favela del Morra da Providência, a Rio de Janeiro. Gli agenti hanno detto di aver risposto al fuoco di un gruppo di criminali. Qualche giorno dopo, è spuntato un video in cui si vedevano le guardie posizionare la pistola a fianco al cadavere del ragazzino. Una settimana prima, a Caju, nel nord della Cidade Maravilhosa, l’11enne Herinaldo Vinicius de Santana è stato colpito a morte durante una sparatoria tra poliziotti e trafficanti. L’8 settembre è toccato a Christian Soares Andrade, 13 anni, finire nel mezzo del fuoco incrociato. Prima di lui, c’erano stati Gilson Costa, 13 anni, Eduardo de Jesus Ferreira, 10 anni, Patrick Ferreira Queiroz, 11... La lista è volutamente incompleta. Nei primi sei mesi del 2015, gli agenti in servizio hanno sparato e ucciso 170 persone dentro la città di Rio. Se si considera anche l’omonimo Stato, le vittime salgono a 347, il 22 per cento in più rispetto allo stesso semestre dell’anno precedente. In tutto il 2014 erano state 580. «La gran parte delle vittime – il 75 per cento – aveva tra i 15 e i 29 anni, 8 su dieci erano di pelle nera», spiega ad Avvenire Alexandre Ciconello, tra i curatori del recente rapporto di Amnesty International sugli agenti dal “grilletto facile” nella città delle prossime Olimpiadi. Proprio l’esigenza di “ripulire” la sede dei Giochi dal crimine, ha denunciato appena qualche giorno fa il Comitato Onu per i diritti dell’infanzia, avrebbe provocato l’intensificarsi del giro di vite. Oltre all’impiego diffuso di maniere forti da parte degli agenti in servizio – sostengono gli esperti –, sarebbe anche aumentata la “caccia” ai ragazzini di strada, considerati potenziali delinquenti, con tanto di arresti arbitrari, abusi ed esecuzioni extragiudiziali. Le Nazioni Unite non forniscono cifre ma esprimono «preoccupazione». L’ultimo studio Unicef, diffuso a luglio, però, parla di 10.500 bambini e adolescenti assassinati all’anno, il doppio rispetto al 1990. In media, dunque, ogni ora viene ammazzato almeno un minore, uno stillicidio quotidiano da 28 vittime. Certo, non tutti sono bersaglio della polizia o degli squadroni della morte, ma soprattutto degli episodi di criminalità. Con un indice di impunità tra il 92 e il 95 per cento, però, le responsabilità sono difficili da valutare. Il che favorisce, a sua volta, il dilagare della violenza. Il fenomeno non è, purtroppo, nuovo: lo splendido “Capitani della spiaggia” di Jorge Amado sui “meninos da rua” di Bahia è del 1937. «La lunga dittatura (1964-1985) ha “sdoganato” tortura e assassinii come prassi abituale tra le forze di sicurezza – dice Ciconello –. Il ritorno della democrazia non ha implicato un rinnovamento di queste ultime». A sorprendere è la “tolleranza” di una tale quota di violenza nel Brasile emergente – anche se un po’ acciaccato di recente – e leader dei Bric. Tra il 2003 e il 2013, i programmi sociali dei governi Lula e Rousseff hanno strappato alla povertà 50 milioni di persone. Ancora, però, nel 2014, il numero delle morti violente sfiorava quota 60mila. Ben 3.032 di queste sono state causate dagli agenti, una ogni tre ore. Nello stesso periodo, i poliziotti uccisi sono stati 398, più di uno al giorno. Il principale “campo di battaglia” sono le favelas, bastioni dei narcos che controllano le zone e tengono in ostaggio le fasce più fragili della popolazione. «Le baraccopoli sono territori neri e poveri dove, difficilmente, l’uso sproporzionato della forza durante le operazioni di sicurezza avrà forte eco nell’opinione pubblica», sottolinea Ciconello. In questo senso, Rio – e il suo concentrato di contraddizioni – rappresenta un caso emblematico. «In realtà, rispetto alla mattanza prima del 2010, c’è stata un forte riduzione dei delitti da parte della polizia tra il 2010 e il 2013 dovuto all’incremento dei controlli». Nel 2014, l’anno dei Mondiali, la strategia del “grilletto facile” ha ripreso consistenza. I fattori sono tanti. «In primis, il fatto che le misure di contenimento adottate non hanno avuto carattere strutturale», spiega il funzionario di Amnesty. Lo “stress sociale”, dovuto al mix di “grandi eventi” e recessione, ha prodotto una nuova escalation. Alimentata dalle crescenti richieste di “tolleranza zero” verso i delinquenti, reali o potenziali. Da mesi, la zona sud di Rio – dove si trovano le splendide spiagge di Copacabana e Leblón –, sono di fatto off limits per i ragazzini delle favelas. Nei fine settimana, gli agenti blindano gli accessi e fermano i bus provenienti dall’area nord, quella più povera, per «impedire furti». Cavalcando lo scontento sociale, i settori ultra-conservatori sono impegnati in una campagna per ridurre a 16 anni l’età in cui si può essere processati come adulti. A dispetto, della Convenzione per i diritti dell’Infanzia, testo con cui, 25 anni fa, il Brasile divenne un punto di riferimento per la protezione dei minori in tutta l’America Latina.
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