Bonus riparazioni in Francia - IMAGOECONOMICA
Perché buttare un abito o un paio di scarpe e comprarne di nuovi, invece di ripararli? I francesi avranno più di un motivo, d’ora in avanti, visto che il governo da ottobre finanzierà le piccole riparazioni, attingendo le cifre – piccole, da un minimo di sei a un massimo di 25 euro – da un fondo di 154 milioni di euro stanziati per il periodo 2023-2028. La Francia entra così ufficialmente del mondo dell’economia circolare delle piccole cose. Dopo il bonus per riparare gli elettrodomestici arriva quello destinato al settore tessile. L’obiettivo, come ha spiegato la segretaria di Stato per l’Economia, Bérangère Couillard, è aiutare i consumatori e sostenere tutti coloro che effettuano riparazioni, i rivenditori che offrono questo servizio e ricreare, così, posti di lavoro.
In pattumiera 700mila tonnellate di vestiti
In Francia, nel 2022 sono stati immessi sul mercato 3,3 miliardi di capi di abbigliamento, calzature e biancheria per la casa, ovvero 500mila in più rispetto al 2021, secondo l'organizzazione Refashion, incaricata dal governo di sostenere l'industria verso un'economia più circolare. I francesi «gettano via 700mila tonnellate di vestiti ogni anno» ha spiegato Couillard, aggiungendo che due terzi di questi «finiscono in discarica».
Il bonus fa parte di una vasta riforma del settore tessile, una delle industrie più inquinanti del pianeta, a cui il governo sta lavorando dalla fine del 2022. Tra gli obiettivi vi sono l'obbligo di una maggiore tracciabilità dei marchi, il sostegno finanziario alle organizzazioni specializzate nel riutilizzo e nella seconda vita degli indumenti e la strutturazione di un settore di riciclaggio.
La riforma prevista dalla legge anti-spreco per un'economia circolare (Loi Agec) si basa in particolare su un miliardo di euro di eco-contributi da parte di produttori, importatori e distributori che dovrebbero essere sbloccati nel periodo 2023-2028 secondo il principio “chi inquina paga”.
In Italia piace il “restart party”
I principi base dell’economia circolare sono tre. Il primo è ridurre, cioè produrre beni e servizi usando una minore quantità di risorse della natura. Il secondo riusare, cioè allungare la vita utile dei prodotti invece di buttarli via al minimo segno di usura. A questo proposito, anche in Italia si stanno diffondendo i “restart party”, in pratica feste delle riparazioni: durante gli incontri – organizzati sempre in posti diversi – alcuni esperti insegnano ai partecipanti come riparare un tostapane, il ferro da stiro, l’asciugacapelli. Il Restart Project è nato a Londra nel 2013 e ha conquistato anche altri Paesi in Europa e nel mondo: si risparmia aggiustando invece di ricomprare e si producono meno rifiuti. Si sta sempre più diffondendo anche l’“economia della seconda mano”: nel 2021, per fare spazio in casa, per guadagnare o risparmiare, per non buttare ciò che non si usa più ma che potrebbe essere utile a qualcun altro, 13 milioni di italiani hanno comperato o venduto gli oggetti più diversi. I dati sono frutto di un’indagine dell’Osservatorio Second hand Economy. Anche questo è un esempio di economia circolare: si condividono, riutilizzano, riciclano materiali e prodotti perché durino più a lungo possibile: le categorie più gettonate sono le auto e le moto, seguite dai mobili per la casa, dall’abbigliamento e dai prodotti elettronici. Infine, il terzo principio cardine dell’economia circolare è riciclare: nulla si spreca e tutto si trasforma.