Iniziativa dei vescovi locali. «Le armi passano, gli aiuti alla popolazione no» Le armi continuano a passare regolarmente. Ma il cibo, il gasolio e gli aiuti economici per la popolazione no. In Siria funziona così da cinque anni, cioè da quando l’Unione Europea varò le sanzioni contro il governo di Bashar al-Assad. Durante l’ultimo consiglio del maggio 2015, i divieti sono stati prolungati per un altro anno. «L’embargo è un crimine che mette in ginocchio la povera gente», spiega monsignor George Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo. E ricordando Obama – che a Cuba parlava delle sanzioni economiche come di uno sbaglio – si chiede: «Perché ripetere quell’errore con la Siria?». Già, perché? Alle parole del vicario apostolico di Aleppo ha fatto eco l’appello pro- mosso in questi giorni dal comitato «Basta sanzioni alla Siria», firmato in prima battuta proprio da monsignor Abou Khazen e fra Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, unitamente ad altri vescovi e religiosi siriani. «In questi cinque anni – recita il testo – le sanzioni alla Siria hanno contribuito a distruggere la società siriana condannandola alla fame, alla miseria, favorendo l’attivismo delle milizie combattenti terroriste che oggi colpiscono anche in Europa. Si aggiungono a una guerra che ha già comportato 250.000 morti e sei milioni di profughi». Quella che in Occidente è presentata come un’azione contro il regime di Assad per motivi umanitari viene vista in realtà da molti siriani come una guerra contro il loro Paese, la sua società e la sua economia. Le Ong impegnate in Medio Oriente faticano a far giungere aiuti, e la stima circa il danno arrecato dall’embargo nell’arco degli anni si aggira attorno agli otto miliardi di dollari. «Aziende, centrali elettriche, acquedotti, reparti ospedalieri sono costretti a chiudere per l’impossibilità di procurarsi qualche pezzo di ricambio o gasolio per i generatori». Assurdo, se pensiamo che «nel 2012 veniva rimosso l’embargo del petrolio dalle aree controllate dall’opposizione armata e jihadista, allo scopo di fornire risorse economiche alle cosiddette “forze rivoluzionarie e dell’opposizione”. «Ecco perché – continua Abou Khazen – non ci fidiamo più». Non c’è gasolio per scaldarsi e alcuni quest’inverno hanno bruciato le scarpe per potersi scaldare. Diversi bambini sono morti assiderati. «Tanti siriani benestanti che lavorano fuori dal Paese non possono mandare nulla in Siria a causa dell’embargo. C’è bisogno di medicine, e la miseria della povera gente sta aumentando esponenzialmente ». Sempre di più fuggono per necessità o disperazione. «In questi anni sono andati via trentacinquemila medici, senza contare i giovani universitari. Bisogna fermare le sanzioni». «Ma anche questa soluzione – si legge nell’appello – incontra diverse difficoltà all’interno dell’Unione Europea ». La dura condanna dei religiosi siriani tocca i nervi scoperti dell’Occidente e di tutta la sua «retorica sui profughi che scappano dalla guerra siriana». La compassione di cui spesso si mascherano i politici davanti alle telecamere «appare ipocrita se nello stesso tempo si continua ad affamare, impedire le cure, negare l’acqua potabile, il lavoro, la sicurezza e la dignità a chi rimane in Siria». «Non è giunto ancora il momento delle azioni, invece delle sole parole?». L’ultimo appello dei vescovi siriani si concludeva così. E il vescovo melchita Jeanbart aggiunge da Aleppo: «Arrestare questa ingiustizia ci aiuterà molto di più che tantissime navi di aiuti umanitari» o di fondi mandati al nostro popolo, che non é mai stato un popolo mendicante». Le sanzioni – rinnovabili – scadono il primo giugno. Allora sapremo se questo grido disperato verrà ascoltato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA IN TRAPPOLA. Ad Aleppo, in fuga dalle bombe
(Reuters)