Al termine del voto, i deputati indipendentisti si sono alzati e hanno cantato insieme l’inno catalano, “Els Segadors”, accompagnato dal grido: “Visca Catalunya lliure” (Viva la Catalogna libera). Una “coreografia-messaggio” per i propri sostenitori, fuori dal Parlament (Assemblea regionale). Per il fronte indipendentista è cruciale mostrare all’elettorato di aver ritrovato l’unità dopo 199 giorni di furibondi contrasti interni seguiti alla proclamazione della Repubblica e alla sospensione dell’autonomia da parte di Madrid, il 27 ottobre. Le regionali del 21 dicembre non hanno risolto i problemi. Al contrario.
Non a caso ci sono voluti quasi altri cinque mesi – e tre prove d’investitura fallite – per trovare la quadra sul candidato a capo della Generalitat (governo catalano). I principali partiti separatisti ce l’hanno fatta a una settimana esatta dalla scadenza del termine per il ritorno obbligato alle urne. Ieri, in seconda battuta dopo la prima convocazione di sabato, l’Assemblea ha eletto alla presidenza, Quim Torra, con 66 preferenze, una in più rispetto ai voti contrari delle formazioni anti-secessione. Quelle del suo gruppo, Junts pel Catalunya e gli alleati di Esquerra repubblicana de Catalunya (Erc). Fondamentale l’astensione dei quattro deputati della Candidatura d’unitat popular (Cup), l’ala dura del secessionismo che ha consentito a Torra di raggiungere la maggioranza semplice, sufficiente per l’elezione al secondo round. Una vittoria in parte annunciata nei giorni scorsi. E, in parte, «obbligata»: gli indipendentisti sapevano che Torra era l’ultima chance per chiudere il capitolo del commissariamento – che terminerà formalmente il giorno dell’insediamento del nuovo governo – ed evitare di andare di nuovo alle elezioni. Alla fine, dunque, dopo un’estenuante “tira e molla”, il candidato ufficiale dell’indipendentismo – l’ex presidente Carles Puigdemont, in “autoesilio” a Berlino – s’è fatto definitivamente da parte. Almeno formalmente.
La scelta è caduta sul fedelissimo Torra. Il quale non solo, ieri, ha ribadito l’intenzione di battersi per la «Repubblica catalana» e ha rivendicato il mandato del referendum separatista del primo ottobre, ma ha definito il predecessore «presidente legittimo». Come primo gesto dopo l’elezione, non a caso, Torra ha deciso di recarsi domani a Berlino, da cui terrà una conferenza stampa congiunta con Puigdemont. Quest’ultimo guiderà, dall’estero, un “consiglio della Repubblica”, che dovrà governare insieme con la Generalitat e da cui dipenderanno le «ambasciate catalane in Europa» per internazionalizzare la secessione. Si profilano, dunque, una nuova stagione di tensione tra Madrid e Barcellona. Certo, subito dopo la nomina, Torra ha voluto usare dei toni concilianti. «Sarà una Repubblica di tutti», ha detto dopo essersi scusato per precedenti interventi anti-spagnoli e aver espresso la volontà di «dialogare» con Madrid. Anche il premier Mariano Rajoy si è detto disponibile al confronto «nei termini della legge». La trattativa, però, sarà tutt’altro che facile. Gli indipendentisti intendono lavorare all’interno delle regole dell’autonomia per portare avanti il loro progetto di “separazione”. E il governo popolare, da parte sua, ha timore che ogni cedimento possa avvantaggiare i rivali nel centro-destra di Ciudadanos, il cui cavallo di battaglia è proprio l’anti-secessionismo.
Il nuovo leader è un fedelissimo di Carles Puigdement
«Una Catalogna unità nella diversità». Nel suo primo discorso da presidente eletto, Quim Torra, 55 anni, ha dismesso i panni del “nazionalista di ferro”. Sarà dura, però, per questo avvocato ed editore far dimenticare all’opinione pubblica poco incline al secessionismo i tweet “antispagnoli” del passato. Nonostante le scuse su quelle parole, Torra è considerato uno degli esponenti dell’“ala dura” indipendentista. Appassionato di storia, l’attuale leader ha fondato la casa editrice “A contra vent”, specializzata nel recupero dei testi dei giornalisti catalani durante la guerra civile. Ha, inoltre, diretto il Born, centro culturale dedicato alla rivoluzione di Barcellona del 1714, una sorta di monumento al catalanismo. Senza grande esperienza politica, Torra è soprattutto un fedelissimo del predecessore Carles Puigdemont, che, secondo vari analisti, sarà il “presidente ombra”.