martedì 10 maggio 2016
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ISLAMABAD I l suo ultimo messaggio su Facebook suona quasi come un testamento. A proposito dell’elezione di Sadiq Khan a sindaco di Londra, aveva scritto: la Gran Bretagna ha «offerto un grande esempio a tutto il mondo. Potremo mai in Pakistan eleggere un ahmadi, un indù o un cristiano? Dimenticatevelo ». Eppure Khurram Zaki ha combattuto fino alla morte perché il sogno di un Pakistan crogiolo di fedi e di culture fosse possibile. Per questo, lui musulmano, si è fatto ritrarre con un crocifisso in mano, nel 2014, per denunciare l’attacco alle chiese di Lahore. Accanto a Zaki, nello scatto diffuso sul Web, c’era Shaan Tasser, figlio di Salman, il governatore del Punjab ammazzato nel 2011 dai taleban per aver difeso Asia Bibi, condanna a morte innocente per blasfemia. Sempre i taleban – stavolta una fazione ribelle vicino al Daesh – hanno assassinato, domenica, Zaki. L’attivista per i diritti umani era seduto a un tavolino all’aperto in un ristorante di Karachi quando un commando di quattro persone a bordo di due moto si è avvicinato e l’ha crivellato di proiettili, uccidendolo sul colpo. Nell’agguato sono rimasti feriti altri due clienti del locale. Zaki aveva lasciato il giornalismo per dedicarsi a tempo pieno al sito “Let us build Pakistan” (Lasciateci costruire il Pakistan), una piattaforma di dialogo per promuovere la democrazia e la tolleranza. Negli ultimi tempi, l’attivista aveva sostenuto una campagna contro la Moschea Rossa di Islamabad, uno dei centri del radicalismo islamico pachistano. In particolare, Zaki aveva chiesto che l’imam Abdul Aziz fosse arrestato per incitamento all’odio a causa del suo rifiuto a condannare i massacri anti-sciiti. Il suo impegno aveva convinto le autorità ad aprire un’inchiesta sul predicatore. I taleban hanno deciso di fargliela pagare. Il gruppo Hakemullah ha rivendicato l’omicidio con una telefonata dopo l’attacco. ( Lu.C.) © RIPRODUZIONE RISERVATA Khurram Zaki (Epa)
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