La sentenza della Corte Suprema del Pakistan che ha assolto questa mattina Asia Bibi evitandole così l'impiccagione per il reato di blasfemia è arrivata in un'aula blindata dove la donna, cattolica e madre di cinque figli, in carcere da 3.421 giorni, non era presente.
Immediatamente sono scattate le reazioni degli estremisti musulmani che fino all'ultimo aveva cercato con la minaccia di violenze diffuse di portare al patibolo la donna. Per essi la sentenza rappresenta un cedimento a “pressioni internazionali” e non un atto di giustizia. Ora temono una sua uscita dal Paese, reso possibile da un giudizio dell'Alta corte della capitale Islamabad che ha negato l'inclusione di Asia Bibi nella lista dei cittadini a cui è vietato l'espatrio. Una soluzione positiva, salvo che non vengano trovate ragioni legali impediscano una scarcerazione immediata, resa possibile da un contesto profondamente cambiato negli ultimi mesi.
Alla guida del secondo Paese al mondo come popolazione è ora è un governo di tendenze islamiste moralizzatrici ma non estremiste guidato da Imran Khan, che non ha mostrato finora alcuna intenzione discriminatoria e che ha anche ottenuto il sostegno delle forze armate nel cercare di riportare il Paese a livelli accettabili di sicurezza e sviluppo.
Proprio questo coordinamento di potere politico, controllo militare e accoglienza della società civile potrà garantire una stabilità che tanti ormai in Pakistan considerano essenziale dopo anni di tensioni, attentati e crisi economica.