Vladimir Putin e Kim Jong-un nel cosmodromo di Vostochny - Fotogramma
Si rafforza il “patto d’acciaio” fra Mosca, Pechino e Pyongyang. Mentre Kim è accolto trionfalmente a Vladivostok, Mao Ning, portavoce del ministero cinese degli Esteri fuga ogni dubbio: l’asse fra Putin e Kim gode anche della benedizione di Xi Jinping. «La Cina sta lavorando per approfondire la cooperazione con la Corea del Nord in vari campi», ha anticipato avant’ieri Mao. È il tramonto delle Nazioni Unite e il preludio a una nuova era. Dietro le quinte dell’orribile guerra d’Ucraina, si stanno rimescolando le pedine della scacchiera mondiale, con un’unica certezza: come nel 1950-1953, la triplice Corea del Nord-Russia-Cina si mostra spavalda nel contrapporsi con ogni mezzo all’Occidente. Che Mosca, Pechino e Pyongyang vivano nuovamente una luna di miele lo si era intuito fin dal 27 luglio scorso, in occasione della parata militare nordcoreana. Quel giorno, erano a Pyongyang come unici invitati stranieri il ministro russo della Difesa e Li Hingzhong, esponente di punta del comitato centrale del partito comunista cinese.
Un segno premonitore. Con la “trilaterale” in rafforzamento, c’è da giurare che la Corea del Nord oserà lanciarsi in nuove provocazioni: nell’ultimo anno ha già sparato un numero record di missili (+25%). Sta sopravvivendo a un embargo durissimo e nuove sanzioni, unilaterali per i veti che paralizzano l’Onu, non la spaventano. A dispetto della propaganda, non è isolata. Ha relazioni diplomatiche con più di 150 Paesi e, più che da Mosca e da Pechino, riceve tecnologie missilistico-nucleari da Teheran e Islamabad, un altro “proxy” cinese di queste guerre per procura dei tempi moderni. La Cina manovra abilmente, giocando una partita a tutto campo, fitta di ambiguità. Si erge a mediatrice fra russi e ucraini, ma fornisce tecnologie bivalenti a Mosca, integrabili anche nelle armi. Manca ancora la pistola fumante, ma starebbe già consentendo alle armi di Kim di transitare dai suoi confini, meno sorvegliati della frontiera russo-nordcoreana. Tutto avverrebbe surrettiziamente. Le munizioni da 122 e 152 millimetri viaggerebbero su cargo terrestri verso Vladivostok e, da qui al fronte ucraino, sui vagoni della mitica transiberiana. Il percorso tortuoso leverebbe ogni imbarazzo diplomatico, mimetizzandosi attraverso le valli boscose della triplice frontiera, un corridoio di 19 km che salda i tre paesi. Sebbene la Cina neghi tutto, i sospetti ci sono, perché Pechino è in combutta con Pyongyang da quel dì.
Le forniture di armi e i viaggi di Kim non sarebbero possibili senza il suo avallo. Ma che vantaggio avrebbero Putin e Xi a compromettersi con quel paria internazionale di Kim? Entrambi lo stanno manovrando in funzione antioccidentale, in vista della Guerra fredda 2.0 che si delinea all’orizzonte. L’uomo fa comodo a Putin, in un momento in cui il Cremlino è ai ferri corti con mezzo mondo, e giova anche a Xi, irritato per le nostre ingerenze nel mar Cinese meridionale e per quella Nato asiatica in gestazione. Una diga che gli americani, frenati per ora solo da Parigi, stanno imbastendo alle porte dell’Impero di mezzo. La Corea è un incomodo, una spina nel fianco. Puntella l’amicizia «senza limiti» fra Russia e Cina e delinea un asse intorno a cui ruotano anche l’Asia centrale e fette intere di sud mondiale. È il potere globale che si ridistribuisce, a detrimento dell’Occidente, vero perdente delle manovre in corso.