Nell’anno del Covid fanno ancora meno «rumore», ma i 409mila morti l’anno provocati dalla malaria, il 95% dei quali in Africa e per due terzi bambini sotto i cinque anni, sono sempre lì a ricordare al mondo che il diritto alla salute non è solo quello legato alla pandemia che ha colpito anche i Paesi ricchi.
La Giornata mondiale contro la malaria, che si celebra domenica 25 aprile, è un’occasione per gli organismi internazionali e per i Paesi più colpiti (Nigeria in testa, con il 25% dei casi totali) per tornare ad attirare l’attenzione sul vero «top killer» del continente nero, che miete molte vittime anche in India. Da oltre un anno è stato avviato un programma pilota in Malawi, Kenya e Ghana con il primo vaccino antimalarico, il Mosquirix prodotto da Glaxo-SmithKline. Ci sono voluti tre decenni di ricerca per arrivare a un vaccino contro il più comune e mortale delle cinque specie di parassiti che provocano la malaria e che ha efficacia solo nel 40 per cento dei casi, ma gli esperti sono convinti che la strada sia quella giusta. Un altro vaccino, sviluppato dall’università di Oxford, ha dimostrato in un test su 450 bimbi in Burkina Faso un’efficacia del 77%. Armi in più, insomma, da affiancare all’uso delle zanzariere e ai farmaci antimalarici, non sempre disponibili e spesso insufficienti per i bimbi più piccoli.
«La prevenzione, anche con metodi semplici, resta comunque cruciale», sottolinea Roberto Buttignol, operatore di Medici senza frontiere (Msf), organizzazione che nell’est del Burundi è appena intervenuta in due distretti attraverso l’irrorazione delle abitazioni con insetticida. «Con questo intervento casa per casa, attuato grazie a quasi 500 irroratori che hanno battuto la zona in bicicletta, siamo riusciti ad abbattere i contagi dell’80 per cento – aggiunge Buttignol –. Abbiamo cosparso tutte le pareti con una sostanza che riesce ad avere effetto per almeno sei mesi, prevenendo la diffusione delle zanzare e uccidendo anche le larve». Vettore del parassita che provoca la malaria sono infatti le zanzare Anopheles. «Abbiamo anche promosso l’uso delle zanzariere e dei repellenti, mappando un territorio molto vasto in cui vivono 300mila persone. Progetti simili sono fondamentali anche perché il costo dei farmaci per queste popolazioni è insostenibile» continua l’operatore di Msf, secondo il quale «la pandemia di Covid ha purtroppo portato a una tendenza generale nel calo delle donazioni, rallentando di fatto molti interventi».
Medici senza frontiere è intervenuta per 300mila persone in Burundi con la disinfestazione
Cuamm e Amref sono attivi in Sud Sudan. La speranza è racchiusa in due vaccini
Oltre 1.400 chilometri più a nord, in Sud Sudan, un’altra Ong, Medici con l’Africa Cuamm, sta portando avanti un progetto di prevenzione e diagnosi della malaria che coinvolge l’ospedale di Lui e 42 centri di salute periferici. Peninah Nabulega, ostetrica, si è presa cura di Linda, una madre che per la malaria ha già perso due figli mentre era incinta. «È stata portata qui in ospedale dopo tre giorni di attesa in un centro di salute molto distante: si sentiva debole, aveva mal di testa e le gambe gonfie – racconta l’ostetrica –. Dopo due test, abbiamo avuto la conferma che Linda aveva di nuovo la malaria e l’abbiamo messa sotto trattamento. Il giorno dopo è iniziato il suo travaglio, prima del termine. È nato un bambino di un chilo e seicento grammi. È piccolo, ma per fortuna stabile: mangia e prende peso. Nel frattempo Linda ha finito il suo ciclo di cure e la stiamo per dimettere con il suo bambino. Insieme raggiungeranno i fratellini di quattro e sette anni al villaggio, dove il resto della famiglia li attende». Una storia finita bene, tra tante invece drammatiche.
Sempre in Sud Sudan è attiva contro la malaria anche Amref con un progetto sostenuto da Aics e che punta ad assicurare servizi di diagnosi efficaci, coinvolgendo 98 esperti e microscopisti e 14 laboratori ospedalieri. Il controllo della malaria avviene tramite le «Malaria slide bank», una sorta di «biblioteca di vetrini» grazie ai quali è possibile diagnosticare con precisione tipologia e concentrazione del parassita nel paziente. «In attesa di un vaccino che eradichi la malaria, come potrebbe accadere a breve per la poliomielite, come ci auguriamo accada con il Covid, non abbiamo altra via che rafforzare la prevenzione e le risposte dei sistemi sanitari fragili – sottolinea Guglielmo Micucci direttore di Amref Health Africa-Italia – Dobbiamo usare la tecnologia, i telefoni (il mobile health) per formare a distanza e permettere che gli operatori di comunità siano delle sentinelle. Vorremmo che anche nelle comunità africane la malaria possa essere un lontano ricordo».