mercoledì 27 aprile 2022
Falabretti (Cei) traccia un bilancio del pellegrinaggio degli adolescenti a Roma a Pasquetta: "Erano lì con le loro domande di vita. Sono stanchi di adulti in cattedra, incapaci di entusiasmo"
I ragazzi presenti in piazza San Pietro a Pasquetta per #Seguimi, l'incontro con Papa Francesco

I ragazzi presenti in piazza San Pietro a Pasquetta per #Seguimi, l'incontro con Papa Francesco - Gabriele Pallai

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Le notizie che risuonano ancora dopo il pellegrinaggio del Lunedì dell’Angelo scorso, parlano di entusiasmo e persino di nostalgia: a quanto pare è stata un’esperienza di quelle che lasciano il segno. Non tutto è andato per il verso giusto: quando si radunano decine di migliaia di persone, qualcuno rimane inevitabilmente più lontano. Ma una sapiente presenza degli educatori permetterà di ripartire proprio da qui, rivedendo parole e immagini e rileggendo insieme ciò che è successo.

L’esperienza ci ha comunque offerto indicazioni preziose. Partiamo dagli adolescenti. La loro età è un grande laboratorio dove loro si forma la persona che deve passare da un’infanzia serena alla complessità della vita adulta. Un passaggio che insinua molti dubbi sulla fede e sulla vita. Aggiungiamo questo tempo. Tutti i media nei mesi scorsi hanno avuto una grande attenzione per le conseguenze inattese e tremende della pandemia sulla vita dei ragazzi. Sono letteralmente saltati sui pullman: il loro bisogno di uscire da un tunnel era davvero forte. Sono arrivati per il bisogno intenso di un incontro bello, importante, da ricordare in futuro. Qui hanno capito che le loro domande sono accolte da qualcuno e che il mistero della vita può continuare a esercitare il suo fascino. Hanno viaggiato come pellegrini verso Roma, hanno ritrovato i loro amici e ne hanno trovato di nuovi.

Ma lì sulla Piazza hanno soddisfatto il bisogno della parola di un Padre, il Papa, che ha detto loro del Signore Gesù che permette di vivere ancora una volta l’esperienza della Risurrezione. Tutti i dubbi sull’opportunità della giornata (a ridosso della Pasqua), sul fatto che questi ragazzi li avevamo persi, sulla forma dell’esperienza (un altro pellegrinaggio a Roma), hanno manifestato piuttosto le fatiche di tanti adulti a loro volta stanchi e incapaci di ritrovare un po’ di entusiasmo e dedizione. Per fortuna molti educatori e preti hanno saputo crederci e hanno ritrovato coraggio e dedizione facendosi coinvolgere. A questi educatori dobbiamo riconoscenza: con generosità si spendono nelle parrocchie di tutta Italia e il loro lavoro è oscuro, talvolta lo vede solo il Signore e spesso è questa la loro unica, insostituibile consolazione.

La meditazione del Vangelo, il capitolo 21 di Giovanni, seguiva lo schema più classico della lectio divina. Nel primo momento la lectio del testo è stata affidata a quattro adolescenti. Ha stupito la loro scioltezza di dover parlare di fronte al Papa e alla Piazza piena, le loro testimonianze sono state commoventi e capaci di offrire seri spunti di riflessione. È avvenuto un passaggio importante: la considerazione dei ragazzi non solo come destinatari di una spiegazione (cosa che è comunque avvenuta attraverso le parole che il Papa ha pronunciato, fedele al suo compito di confermare nella fede), ma anche come cristiani investiti dello Spirito di Dio, principio della creazione e della risurrezione di Gesù. Abbiamo scoperto con un po’ di stupore (mi sono arrivati messaggi di vescovi...) che questi ragazzi non sono dei contenitori vuoti da riempire, ma che lo Spirito già li abita.

Se saremo capaci di accogliere questa riflessione, potranno ritrovare slancio le nostre esperienze educative. I ragazzi trovano insopportabile avere a che fare con degli adulti costantemente seduti sulla cattedra della verità e incapaci di ascolto empatico. L’ascolto mostra il cuore, la disponibilità a voler bene, unica condizione perché effettivamente si possa a nostra volta essere ascoltati. Abbiamo bisogno di tornare a capire come si fa a volergli bene.

La croce che abbiamo dato ai ragazzi era fatta a mano da artigiani di Deruta: un piccolo segno per dire che voler loro bene significa riconoscere anche loro come unici! Quale è il bilancio di questa esperienza? Non lo so. Possiamo lasciare un po’ di spazio perché l’intensità di questi giorni possa scendere dentro i ragazzi e ancora lo Spirito parlare al loro cuore? Magari rimanendo insieme, come comunità, in ascolto dei molti segnali che continuano a offrirci per capire come il Vangelo può trovare casa nella storia di oggi.

* responsabile del Servizio nazionale per la Pastorale giovanile

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