I delegati del Convegno nazionale di pastorale giovanile in visita a Venezia - Brusadin
«Gli adulti? Fotografano anche la pastasciutta e poi vogliono togliere Internet ai loro figli». La battuta su chi pretende di impartire l’educazione solo con l’esempio fa sorridere, ma fa capire anche quanto sia stato interessante il dialogo a distanza tra lo psicologo e psicanalista Matteo Lancini (collegato in video) e Franco Nembrini, appassionato insegnante di italiano e rettore del centro scolastico paritario «la Traccia», per il quale «educare è una testimonianza. Non una predica».
Una conversazione a due voci che ha scaldato il pubblico degli oltre 400 delegati e delegate di pastorale giovanile, arrivati da tutta Italia per il XVII Convegno nazionale «La fede nell’imprevedibile», aperto a Lignano Sabbiadoro (Udine) dal saluto di Maurizio Gervasoni, vescovo di Vigevano e delegato per la pastorale giovanile della Conferenza episcopale lombarda.
Dopo lo stallo degli ultimi due anni imposto dall’emergenza sanitaria con gli oratori chiusi, i Grest messi in soffitta e i tanti collegamenti virtuali tra ragazzi ed educatori, vedersi è stata una festa: «Ci eravamo salutati a Terrasini nel 2019 – ha ricordato il padrone di casa, don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile – tutti gasati dopo il Sinodo del giovani e siamo finiti nell’incubo della pandemia ».
E la ripartenza, difficile per tutti, vede gli adolescenti sempre più sofferenti: «Un aspetto, questo, spesso ignorato dalle istituzioni e dalla scuola – è il commento amaro di Nembrini a margine della conferenza – con un numero preoccupante di giovani in difficoltà. Oggi è più difficile l’incontro tra generazioni, ma questi nostri figli vanno abbracciati nei loro limiti e nella loro diversità. In fondo, gli adolescenti di oggi sono come quelli di ieri, hanno gli stessi desideri e il bisogno di essere voluti bene».
Lignano Sabbiadoro, 31 maggio 2022: i lavori del XVII Convegno Nazionale Pastorale Giovanile - SIR/Marco Calvarese
E se Franco Nembrini ha «abbracciato » centinaia di studenti nelle classi in cui ha insegnato («anche quelli asini, ma un educatore non si arrende mai, li accoglie e li trasforma in uomini »), Matteo Lancini è andato incontro «alle loro difficoltà e ai loro fallimenti e inciampi» aiutandoli all’interno della Fondazione Minotauro di Milano, di cui è presidente. È un Istituto di psicologi e psicoterapeuti, si ispira al pensiero di Franco Fornari, sviluppato poi negli anni da Gustavo Pietropolli Charmet. E oggi Lancini afferma di trovare gli adolescenti «non più trasgressivi di un tempo e più disinteressati alla sessualità. Per loro conta di più vivere nella mente dell’altro che nel corpo. Privi del senso del sé privato, abituati come sono ad avere followers fin dall’asilo. Non a caso abbiamo bambini che si comportano da adulti e adolescenti che sembrano bambini». La sua analisi diventa provocazione quando afferma che i social andrebbero «resi obbligatori dai 15 anni in su e vietati dai 30 in su». Insomma, per Lancini «Internet non va demonizzato dagli adulti, tutti lo usiamo: abbiamo iniziato a fotografare i nostri figli in giorno dell’ecografia morfologica, per poi proseguire con centinaia di foto e video per immortalarli il giorno della recita dell’asilo. Che senso ha introdurre tardivamente i 'no' o contingentare l’uso di Internet se non diamo prima l’esempio rinunciando a una parte della nostra vita virtuale e non li ascoltiamo nei loro bisogni?».
Aiutare questi adulti fragili che combinano pasticci e non sanno raggiungere gli adolescenti nei loro bisogni e nelle loro difficoltà è la missione. Ma come si raggiunge l’obiettivo? La domanda arriva da una suora seduta tra il pubblico. È psicologa e si occupa di minori. «Nessuna formula magica o ricetta segreta – ha risposto Nembrini – se non favorire, sostenere, aiutare la genitorialità. Facendo sì che mamme e papà non restino soli, ma si ritrovino insieme a fare comunità perché per educare, come dice sempre papa Francesco, ci vuole un villaggio con un ideale condiviso».
Ci sono per Nembrini altri due errori che gli adulti devono evitare: chiudere in casa i ragazzi per non farli uscire, oppure uscire con loro. «Invece l’adulto è quello che sta – spiega –, che resta per la felicità che gode lui, per il bene che intravede in lui, per la speranza che vive in lui. Il più grande problema di chi educa è la paura. Lo spiego con un episodio che mi è accaduto da bambino, quarto di dieci figli. Una sera mio padre è tornato a casa, vivevamo in 65 metri quadri, e ha trovato un macello pazzesco. Non ero stato abbastanza svelto, me ne ha date un sacco e una sporta. La mia povera mamma lo ha fermato, 'Franco non c’entra è appena rientrato', gli ha detto. Mio padre, serissimo, mi ha messo una mano sulla spalla: 'Mettile vie per la prossima volta!'. Vi assicuro che ho detestato i miei fratelli perché erano stati più veloci, ma non mi ha mai attraversato l’anticamera del cervello che mio padre non mi volesse bene. Aveva peccato d’ingiustizia nei miei confronti, ma mi amava. È questo che intendo: non preoccupatevi di avere paura di sbagliare. Per i nostri figli saremo sempre i migliori educatori possibili».