Marina Mogna, 45 anni, porta sulle spalle la figlia Maddalena, 21 anni, «ma ne dimostra sette», dice la mamma scherzando sulle dimensioni light della ragazza - .
Enea scappa da Troia in fiamme portando il padre Anchise sulle spalle. Marina Mogna, 45 anni, porta invece la figlia Maddalena. Per fortuna non in circostanze tragiche, ma per divertimento. Che Maddalena si diverta, lo si capisce dagli urletti di approvazione che lancia ogni qualvolta assieme alla madre raggiunge la meta: un lago, una vallata, la cima di una montagna. I sentieri del Cuneese, dove abitano, li hanno percorsi tutti. Quegli stessi urletti Maddalena li lancia, mentre Marina mi racconta le loro avventure. Impiegata in Croce Rossa, e buona camminatrice, ha dovuto fare i conti con le difficoltà della figlia, tetraplegica a causa di una sofferenza neonatale. «Maddalena ha ventuno anni, ma fisicamente ne dimostra sette – spiega -, perché quella sofferenza ha provocato anche una disfunzione alla ghiandola che regola gli ormoni della crescita, provocandone il blocco. Mia figlia non cammina, non parla, non riesce a mangiare da sola, non muove un muscolo. Il fatto che non abbia dimensioni generose, ma sia – come dico io - in versione ridotta multipack, è un vantaggio per me, perché mi permette di portarla nelle mie camminate». Marina si carica Maddalena sulla schiena, grazie ad uno speciale marsupio comprato a Londra, realizzato da una ditta locale per trasportare a scuola i bambini disabili indiani, in territori così impervi da non permettere il passaggio, non solo di un’auto, ma neppure di una sedia a rotelle. Sicura in quella che è una fascia simile a quelle usate per i neonati,
Maddalena si lascia trasportare da mamma che si inerpica sui sentieri. «Tutti possono portare un disabile, però bisogna essere consapevoli che è faticoso ed impegnativo – dice Marina -. Non hai sulle spalle uno zaino nel quale hai disposto con precisione le tue cose. La persona disabile è un peso che non si riesce a stabilizzare, stenta a stare dritta, tende a cadere su un lato, ti stringe il bacino con le gambe, serra le anche. A volte mi porto per giorni il dolore ai reni dovuto alle strette di Maddalena che, anche se mignon, comunque i suoi 16-17 chili li pesa». Grazie alla loro storia speciale, Marina e Maddalena si sono meritate di far parte di Ragazze in gamba, la community ufficiale della Rete nazionale donne in cammino. Madre e figlia partono spesso, purché il clima sia accettabile. «Non deve piovere e, soprattutto, non dev’essere troppo caldo, altrimenti, per come lei è abbarbicata su di me, rischiamo di fare la sauna», dice Marina, che continua: «Adoro camminare. Mi rilassa, mi serve da valvola di sfogo, mi fa sentire libera. Non posso fare roccia naturalmente. Cammino fino a quando me la sento. E anche per Maddalena non è facile, resiste un paio d’ore, non di più. Ma anche a lei piace stare nella natura. Dal punto di vista intellettivo, mia figlia non è stata lesa, quindi capisce tutto, risponde con la testa, e interagisce con me attraverso i suoi meravigliosi sorrisi. È una ragazza solare ed ironica».
Nelle loro uscite spesso sono accompagnate da Sergio, compagno di Marina, o da amici. «Mi sento più sicura quando non sono sola – riprende -, soprattutto nel momento in cui mi carico Maddalena sulla schiena o quando, nel sentiero, ci sono passaggi più impegnativi. Sbilanciarsi è un attimo, ben vengano allora gli aiuti». Maddalena frequenta la quinta superiore; inoltre, tre pomeriggi a settimana, si reca in un centro per disabili, finanziato attraverso un bando europeo. «I posti messi a disposizione dall’Asl locale non sono sufficienti e mancano i soldi per costruire altri centri. La situazione per noi famiglie con figli disabili è davvero dura», spiega Marina. Per fortuna ci sono quelle “fughe” all’aria aperta, che rendono la vita più leggera e che rinsaldano il rapporto madre-figlia.
«Non è certamente come camminare con un bambino normodotato, è un portare, il che è molto diverso. D’altra parte, ogni disabile è diverso, ha le sue peculiarità di postura, e ha anche un modo differente di dimostrare i suoi fastidi, oppure il suo piacere. La persona disabile non riesce ad esprimere a parole le sue sensazioni, magari fa dei movimenti, oppure usa la mimica facciale. Bisogna saper entrare in empatia». Ma per Marina forse tutto è po’ meno complicato: «Certo, nel mio caso è più semplice, perché si tratta di mia figlia, è con me dalla nascita, quindi ho imparato a conoscerla bene, ma anch’io ho affinato nel tempo le mie percezioni rispetto ai suoi bisogni. Mentre cammino, le parlo. Quando sento che comincia ad agitarsi, la sprono a sopportare. Le dico: “Coraggio, ancora dieci minuti, siamo quasi arrivate, vedrai che luogo magnifico”. E, in effetti, arrivate sul posto, vedo dal suo viso che è felice. E poi magari al ritorno, le dico: “Visto? Che ti dicevo? Hai sofferto anche tu oggi, ma poi ti è piaciuto”, e lei fa sì con la testa. Capisco allora tutto il valore del tempo e la bellezza che abbiamo condiviso».
Marina ha anche un altro figlio, Pietro, di diciannove anni, che da qualche mese vive a Piacenza, dove frequenta l’università. «Pietro vuole un gran bene a sua sorella, l’ha portata anche lui in passeggiata. E lei ricambia il suo affetto. Infatti, sono pochi mesi che lui è fuori casa, e già lei ne patisce, lo vedo dalla sua bocca triste. Con Pietro, una volta all’anno, mi concedo una camminata più impegnativa». A completare la famiglia c’è Sergio, il compagno di Marina, arrivato dopo la fine di un matrimonio travagliato. «Ho molta fede, e questo mi ha aiutata a superare i brutti momenti e, soprattutto, ad accettare l’idea del divorzio che, per me, era inconcepibile. Ma la fede mi ha anche fatto intravvedere una nuova strada, così ho chiesto e ottenuto l’annullamento. Presto potrò sposarmi in chiesa con il mio compagno. Dopo Maddalena e Pietro, questo è un altro dono che mi ha offerto il Signore, con l’intercessione di san Michele Arcangelo e san Francesco, ai quali sono molto devota». Un attimo di pausa. «Sono sicura - conclude Marina - che in questa mia “seconda vita” c’è il loro zampino».