mercoledì 17 gennaio 2024
Pensare, fare, far pensare: l’inclusione passa dall’informazione

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Nella malattia, nel dolore e forse nella vita stessa, «quello che in assoluto conta di più è avere il supporto di una comunità che sa parcellizzare il dolore in più persone ed esperienze». Le parole che sa trovare lo scrittore Daniele Mencarelli, intervistato dal giornale Bullone, sono difficilmente eguagliabili: dentro si ritrova l’essenza stessa della Fondazione Bullone, che dopo il giornale italiano è pronta al lancio di un nuovo sito di informazione in Europa e dei nuovi podcast. «Stiamo lavorando per aprire la strada a un giornalismo sociale europeo, fatto da giovani per i giovani, sul modello del nostro Bullone, che ogni mese viene stampato in 4.500 copie e distribuito gratuitamente tra scuole, ospedali e realtà amiche e sostenitrici in Italia». Il Bullone ha l’ambizione di farsi coraggioso spazio di dialogo e di ascolto, e nel farlo «non vuole esprimere solo opinioni, ma costruire una storia collettiva attraverso la lente dell’autenticità» ha raccontato Sofia Segre Reinach che dirige il mensile assieme a Elisa Tomassoli, vicedirettrice e Giancarlo Perego, direttore al Bullone e giornalista del Corriere della Sera.

DANIELE COVELLI

Ma prima che il Bullone si proietti verso l’Europa e i suoi nuovi lettori ha assolutamente senso ragionare sulla parcellizzazione del dolore e delle esperienze di vita dentro alla comunità Bullone. E su come si è arrivati fino a qui, dandosi un compito alto, racchiuso nel motto del giornale: “Pensare. Fare. Far Pensare”. Coinvolgimento, inclusione lavorativa e responsabilità sociale di individui, organizzazioni e aziende sono alla base di un lavoro “collettivo” che si trasforma sulle pagine del Bullone in foto, pezzi e interviste a scrittori, autori e changemakers come Franco Vaccari, per citarne uno: «Noi insegniamo a non avere paura del conflitto» ha raccontato al Bullone il fondatore di Rondine Cittadella della pace, organizzazione internazionale che si impegna nella riduzione dei conflitti armati nel mondo e nella trasformazione creativa del conflitto in ogni contesto.

Come ogni testata che si rispetti, il nuovo numero inizia a prendere forma, a essere immaginato nella riunione di redazione: eccezionalmente abbiamo potuto assistere alla numero 79, che si è tenuta all’InVisibile festival a Milano: aperta a chiunque e fortemente condizionata e indirizzata dal potere trasformativo dell’arte e della narrazione di ciascuno. Per intenderci si è partiti ragionando sul merito, sulla necessità di garantire pari opportunità di partenza per poi soffermarsi sulla scrittura come apertura verso l’altro, ma anche sull’amore e la gratitudine. Parole da recuperare come ha fatto con i suoi guizzi l’artista Giorgio Maria Romanelli che è riuscito a raffigurare graficamente i “voli” riflessivi di questa 79 riunione del Bullone.

DANIELE COVELLI

Con ordine, nella redazione ruotano circa 230 persone, molte delle quali sono professionisti della comunicazione che mettono a disposizione le loro competenze, ma i protagonisti, i giornalisti con G maiuscola, quelli che hanno le idee e propongono e scrivono pezzi e interviste sono soprattutto ragazzi, che hanno vissuto o vivono ancora il percorso della malattia. Si definiscono B.Liver e la parola Belive racchiude in sé tre significati: be nel senso di essere, believe ossia credere, live che, sempre in inglese, significa vivere. Tra la lettera “B” e il verbo live si è scelto di mettere un bullone, «simbolo di forza e unione e che è diventato prima il nostro simbolo, poi un giornale e infine il nome del nuovo progetto della fondazione» ha spiegato ancora Segre Reinach.

L’icona del bullone porta a riflettere sul significato di tenere insieme, ma anche su come si possa aggiustarsi, riconoscersi l’un l’altro nella condivisione del racconto. «Non isolatevi, scoprite come è bello farsi vedere» ha raccontato Alice, una dei B.Liver nella riunione di redazione, riprendendo almeno in parte le parole di Mencarelli sul supporto della comunità, fondamentale a parcellizzare il dolore e a tenere assieme tante storie uniche di malattia al Bullone. All’InVisibile festival ci si è incontrati tra le statue della mostra “Cicatrici”, camminando sotto un cielo di fogli scritti e riempiti dalle proprie fragilità e molto si è discusso «delle cicatrici, motivo di orgoglio, tracce di storia da custodire e conservare» come ricordato da Perego, ma anche di quanto la malattia possa condizionare la strada professionale, imponendo ad alcuni di non poter partire allo scoppio dello “start” degli altri. A un certo momento il dibattito di redazione ha riportato al centro il significato della parola latina meritus che corrisponde a ricompensa da distribuire fra tutti, e non privilegio da tenere per sé stessi. Paola, un’altra dei B.Liver dopo 8 anni di sacrifici nell’azienda dove lavora, nonostante la sua malattia, si è interrogata ad alta voce: «Non merito qualcosa in più?» E Maddalena, un’altra B.Liver ha raccontato, sempre negli Ibm Studios a Milano, di come sia riuscita a superare il fatto di essere stata una bambina malata, andando dritta per la sua strada verso il merito; e a chi le chiedeva se avesse mai dimenticato la malattia, lei, d’un fiato, ha risposto: «Ero troppo piccola per ricordarmene, ma se ne ricorda la mia famiglia. La malattia la rivedo negli occhi dei miei genitori». Voci così dirette si sono alternate a domande sul senso di solitudine e di fragilità tra i più giovani e vulnerabili: Michele, un altro dei B.Liver è riuscito a far sorridere pur descrivendo la sua timidezza un po’ smorzata dall’aver conosciuto la realtà del Bullone nel 2018 e quel suo sentirsi non considerato, non visto: «Come se le persone a volte fingessero di non voler vedere». Anche Giusy si è soffermata sull’invisibilità e sul fatto che per anni la considerasse come il suo scudo: «Ho lottato contro la voce che avevo dentro che mi diceva di non parlare, di non farmi vedere». E poi nel finale la stoccata collettiva al filosofo tedesco Schopenhauer, che aveva definito la vita come il movimento bidirezionale di un pendolo tra dolore e morte. Mentre i B.Liver sono convinti che «questo pendolo debba proseguire con un movimento circolare, che comprende il dolore, ma anche la felicità, che accolga e non allontani, e che permetta l’incontro con gli altri».

Infine, sebbene nessuno uscendo da quella riunione di redazione immaginasse come potesse venir fuori un giornale da quel “volo” di pensieri, confronti e incontri, il Bullone numero 79 è già andato in stampa, lo si trova sul sito online www.ilbullone.org assieme a nuovi articoli e nuovi podcast, gustatevi tutto!

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