Mya, Olivia, Vera. Chi è in cerca di lavoro e affronterà un processo di selezione nel prossimo futuro potrebbe dover interagire con una di loro. Chi sono? Si tratta di Intelligenze Artificiali (Ia), software cui sempre più aziende affidano le fasi preliminari della selezione di potenziali candidati e professionisti. L’Ia è un’innovazione tecnologica che sta cambiando il volto di molti settori e che rappresenta un’opportunità anche per le Human Resources, in cui Wyser, società internazionale di Gi Group, opera dal 2013 occupandosi di ricerca e selezione di profili manageriali. McKinsey stima che in circa il 60% dei posti di lavoro il 30% di ciò che i dipendenti attualmente fanno può essere automatizzato con l’intelligenza artificiale1. Il principale vantaggio? Ovviamente, il risparmio di tempo: è possibile ottimizzare le ore lavoro, dedicandosi a compiti più importanti e aumentando la produttività. «Affidare a delle macchine un’attività legata alle risorse umane può sembrare paradossale, eppure l’intelligenza artificiale ha le potenzialità per essere uno strumento rivoluzionario, sempre, però, in affiancamento all’intervento umano - afferma Carlo Caporale, amministratore delegato Wyser Italia – Infatti, in un’indagine sull’impatto dell’AI sulle human resources condotta da Aidp, il 76% degli intervistati sostiene che l’intelligenza artificiale cambierà il mondo delle risorse umane, ma l’unanimità degli intervistati concorda sul fatto che tali attività non possano essere del tutto automatizzate».
La fase di screening e ricerca
Uno dei primi esempi di Ia applicata alla selezione di talenti su larga scala è Vera, robot lanciato da una startup russa, in grado di realizzare 1.500 interviste telefoniche o video al giorno, ciascuna della durata di otto minuti. Vera può parlare sia in russo sia in inglese, con voce maschile o femminile, e interagire con l’intervistato, rispondendo a delle domande. Tra le oltre 200 aziende russe che già utilizzano il robot c’è anche Ikea Russia, spinta a provare il tool di intelligenza artificiale dalla immensa mole di curricula che riceve ogni anno. Anche gli esperti degli hotel Hilton si sono affidati a un chatbot per rispondere alle domande e intervistare i professionisti nelle prime fasi di selezione: in tal modo sono stati drasticamente ridotti i tempi di selezione, che prima dell’introduzione dell’AI potevano impegnare il personale Hr anche per sei settimane per condurre il futuro professionista dalla candidatura all’assunzione. «È evidente, come dimostrano le case-history che abbiamo analizzato, che l’intelligenza artificiale rappresenti già una risorsa: è utilizzata per la ricerca, lo screening e i colloqui e consente, grazie all’automazione delle mansioni operazionali, di velocizzare esponenzialmente queste fasi – commenta Caporale – Va, però, sottolineato come, dopo lo screening e la selezione dei talent più adatti da parte del software, le fasi successive e la valutazione finale siano effettuate da head hunter. Questi restano insostituibili in un processo al cui centro c’è la relazione con la persona, che richiede doti di empatia, intuizione e dedizione proprie di un esperto del settore».
Riduzione dei bias, ma…
Tra i vantaggi dell’utilizzo dell’Ia nella selezione del personale è spesso indicato quello dell’eliminazione dei cosiddetti unconscious bias, ossia i pregiudizi umani che portano naturalmente a preferire alcuni professionisti anziché altri. «Questo però non è sempre vero: il rischio di errori persiste. Ne è la dimostrazione anche il recente caso di un tool di selezione implementato e poi rottamato da una big company – spiega Caporale – Le Ia imparano a prendere decisioni sulla base di storici di dati preesistenti, che, se contengono in origine bias, comportano necessariamente la ripetizione di questi. Nel caso di specie, la selezione operata dal tool era fortemente orientata verso professionisti uomini, penalizzando tutti i curricula contenenti la parola ‘women’, ignorando così l’intento della stessa azienda di affrancarsi da qualsiasi pregiudizio di genere».
Miglioramento dell’employee retention
L’employee retention, ovvero la capacità delle aziende di trattenere i propri talenti, è spesso un problema: non sempre bonus e stipendi competitivi arginano la fuga di manager e professionisti altamente qualificati, che possono avere esigenze diverse, come ad esempio quella di una carriera all’estero. L’Ia può essere molto utile a prevenire la fuga di talenti, come nel caso del programma “Proactive Retention” di Ibm, in grado di analizzare posizione, titolo e stipendio dei dipendenti, correlandoli alle informazioni sulla storia delle promozioni e sui rapporti con la direzione. Sulla base di questi dati, un algoritmo calcola la probabilità di abbandono dell’azienda da parte di un professionista e consente così un intervento tempestivo per andare incontro alle sue specifiche esigenze. Questo processo di mantenimento e mobilità dei propri talenti ha consentito a Ibm un risparmio di 130 milioni di dollari in costi di assunzione. «Le innovazioni tecnologiche come l’Ia - conclude Caporale – rappresentano opportunità straordinarie per l’evoluzione delle Human Resources e del mondo del lavoro in generale. L’Ia è in grado di assorbire quella parte del lavoro che è automatizzabile, lasciando all’uomo più tempo per compiti più importanti e rendendo più efficaci i suoi interventi. Le ricadute, sia da un punto di vista occupazionale sia di head hunting, sono significative. Da un lato, le aziende avranno sempre più bisogno di figure di middle e senior management, per svolgere quei lavori in cui la presenza dell’essere umano rimarrà insostituibile. Dall’altro lato, un’elevata automazione delle fasi preliminari di screening consentirà alle divisioni Hr e agli head hunter di investire le proprie risorse in attività più strategiche del processo di ricerca, selezione e consulenza».
Molteplici le potenzialità, ma sempre in affiancamento all’intervento umano. Come emerge in questa indagine
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