Distribuzione di cibo a Johannesburgh, in Sudafrica - Ansa
«È giusto che affamiamo i nostri bambini per pagare il debito?». Mezzo secolo dopo, l’interrogativo di Julius Nyerere, tra i padri dell’indipendenza africana, risuona drammaticamente attuale: il costo delle pendenze accumulate è sufficiente a vaccinare l’intero Continente contro il Covid. Con un impatto sanitario meno forte che altrove, la pandemia sta, però, sgretolando le già fragili economie degli Stati a Sud del Sahara.
L’effetto più preoccupante è l’esplosione del debito, il cui peso sul Pil è passato, in media, nell’ultimo decennio, dal 35 per cento al 65 per cento, secondo il Fondo monetario internazionale. La Banca africana per lo sviluppo ha previsto un ulteriore incremento nel breve e medio periodo di almeno il 10 per cento. A dicembre 2020, il passivo di sei nazioni era deteriorato e quello di altre 14 rischiava di diventarlo presto: in pratica, metà dell’Africa è vicina al fallimento. Esperti, economisti – incluso il Nobel, Joseph Stiglitz – governi, istituzioni lo ripetono da mesi. Eppure la voce dell’Africa fa fatica a trovare ascolto fra i Grandi.
Farla irrompere sulla scena globale è l’obiettivo della campagna per la cancellazione del debito lanciata ieri, con un evento online, dal dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale e la Commissione Covid del Vaticano, in collaborazione con Caritas Africa, la Conferenza dei gesuiti dell’Africa e del Madagascar (Jcam) e l’Associazione delle consacrate dell’Africa centrale e orientale (Acweca).
«L’iniziativa parte dall’Africa dove la Chiesa locale, grazie alla sua credibilità, ha dato forma a un’istanza diffusa nella società civile. Il contributo del dicastero è quello di aiutarla ad acquisire visibilità internazionale nella speranza che si crei un ampio movimento come nel 2000. In modo che arrivi all’attenzione del G7 e del G20, ovvero di chi può incidere sulla questione», spiega la neo-sottosegretaria del dicastero, suor Alessandra Smerilli. L’eliminazione del debito non si configura, secondo i promotori della campagna, come un assegno in bianco nei confronti dei governi continentali. «Con dei meccanismi di controllo adeguati, si può garantire che il denaro condonato venga speso per promuovere sanità e istruzione, per garantire quello sviluppo umano integrale a cui tutti gli uomini e le donne, come spesso ci ricorda papa Francesco, hanno diritto», ha sottolineato, in collegamento dal Ghana, il cardinale Peter Turkson, prefetto del dicastero.
Del resto, il passivo economico contratto da questi Paesi – con i creditori esteri, in particolare il Club di Parigi e, sempre più, la Cina – è solo una parte del gioco di complesse interrelazioni tra Nord e Sud del mappamondo. «Esiste anche il debito ecologico dei Grandi, principali responsabili del cambiamento climatico. Il cui peso, però, ricade in gran parte sulle nazioni più povere. Come quelle africane», ha ricordato padre Augusto Zampini, membro della direzione della Commissione Covid del Vaticano e segretario aggiunto del dicastero. Pur contribuendo solo del 5 per cento all’emissione di gas serra, il Continente ne subisce le peggiori conseguenze. Tra 2009 e 2019, le catastrofi naturali gli hanno “sottratto” almeno 700 milioni. E nell’ultimo biennio la crisi ambientale si è acuita ancora. Con il crollo dei prezzi delle materie prime e il Covid, ora, l’Africa rischia di diventare una polveriera.
A pagare il conto sono gli ultimi. «Non sono numeri, le vittime del debito hanno il volto reale degli abitanti dei villaggi del mio Paese, la Tanzania, dove mancano acqua e medicine – ha raccontato suor Hellen Bandiho, segretaria dell’Acweca –. Nel mentre, il governo versa 300 milioni di dollari l’anno ai creditori». «Non è solo una questione etica – ha affermato padre Charlie Chilufya, direttore dell’ufficio Giustizia ed ecologia della Jcam –. La permanenza della pandemia nelle periferie del globo per mancanza di mezzi, mette a rischio la salute di tutti». Pian piano, anche i Grandi iniziano a comprenderlo. Un primo passo è stata la decisione del G20, proprio ieri, di prorogare fino a dicembre lo stop del pagamento dei passivi per i Paesi più vulnerabili. E il Club di Parigi ha condiviso la scelta.