mercoledì 29 maggio 2024
Il 15% dei professionisti è disposto a lavorare all’estero e per i laureati la percentuale sale al 24%. Stipendio, crescita professionale e flessibilità: i tre pilastri del lavoro del futuro
Resta difficile attrarre e trattenere talenti in Italia

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Secondo lo studio Decoding Global Talent 2024 realizzato da Bcg, nel 2023 un professionista su quattro ha cercato attivamente lavoro in altri Paesi. In Italia, il 15% è disposto a lavorare all’estero e per i laureati la percentuale sale al 24%. Lo studio, alla sua IV edizione, è basato su una ricerca sviluppata in collaborazione con The Network e The Stepstone Group, che ha coinvolto 150mila persone provenienti da oltre 180 Paesi - tra cui l’Italia - e indaga la mobilità dei talenti e la capacità di attrarne dei principali Paesi al mondo. Tra le motivazioni che spingono gli italiani a trasferirsi, emergono le offerte di lavoro concrete (67%), i fattori economici (66%), il miglioramento della qualità di vita complessiva (62%) e la crescita personale (55%). I professionisti italiani intenzionati a spostarsi si aspettano supporto concreto dal futuro datore di lavoro, nello specifico: assistenza per l’alloggio (78%), visto e i permessi di lavoro (63%) per la lingua (59%). A livello globale, i Paesi di lingua inglese e con economie forti continuano a dominare la classifica delle mete più ambite dai lavoratori: l’Australia si aggiudica il primo posto, seguita da Usa, Canada e Regno Unito. Mentre, tra le città, Londra rimane la più attraente. L’Italia si piazza al 12esimo posto per attrattività lavorativa complessiva, perdendo una posizione rispetto al 2020. Questi in sintesi i risultati dello studio.


Professionisti e giovani italiani attratti dall'estero

Il dato dei professionisti italiani che l'anno scorso erano disposti a trasferirsi all'estero (15%) è in linea con il 17% del 2018, crollando rispetto al 57% del 2020, anno caratterizzato dalla pandemia da Covid-19 e probabilmente influenzato dallo stesso fenomeno. Tra i giovani, ossia tra i rispondenti con meno di 30 anni, la percentuale sale al 20% e, per gli italiani in possesso di laurea, master o dottorato, al 24%. La meta ideale per gli italiani resta la Svizzera, seguita dalla Spagna, che guadagna interesse spodestando il Regno Unito, poi ancora da Germania, Usa, Regno Unito, Francia, Australia, Canada, Austria e Olanda. A favorire il trasferimento all’estero intervengono ragioni quali offerte di lavoro concrete (67%) e fattori economici (66%), ma anche il miglioramento della qualità di vita complessiva (62%) e la crescita personale (55%). Invece, per chi decide di restare in Italia, il motivo principale è l’impossibilità di portare con sé familiari e/o partner (54%), seguito dal forte legame affettivo con il proprio Paese (26%) e dal costo della ricollocazione (25%).

«Dallo studio emerge che nel nostro Paese c'è una percezione di complessità burocratica, per esempio su permessi di soggiorni e visti. Poi c'è una struttura fiscale e contributiva che è particolarmente onerosa per i lavoratori altamente qualificati e con compensi elevati, che possono trovare altrove regimi fiscali più interessanti. A questo si aggiunge la lingua: in Italia l'inglese non è così diffusamente parlato come in altri Paesi europei e le persone che sono ben incanalate verso una carriera internazionale utilizzano l'inglese come lingua di comunicazione - spiega Matteo Radice, managing director e partner di Bcg -. Il nostro Paese è molto attrattivo in alcuni ambiti come la moda, il design e una certa manifattura e lo è meno per altri settori, come per esempio quelli ad alto contenuto tecnologico».

L'Italia scende al 12esimo posto

A livello globale l’Italia si piazza al 12esimo posto per attrattività lavorativa complessiva, perdendo una posizione rispetto al 2020. In particolare, il Paese risulta attrattivo per chi proviene da Argentina (19%), Egitto (11%), Marocco, Romania e Tunisia (10%). Il 72% dei rispondenti al sondaggio ha indicato la qualità della vita come motivo principale, seguito dalla qualità delle opportunità lavorative e dalla cultura accogliente e inclusività (45%), costo della vita (34%) e ambiente family-friendly (33%). Anche gli italiani si aspettano supporto concreto dal futuro datore di lavoro: nello specifico, il 78% degli intervistati si aspetta assistenza per l’alloggio, il 63% per il visto e i permessi di lavoro così come per il supporto generico alla ricollocazione, mentre il 59% per la lingua. Dal desiderio di migliorare la propria qualità di vita, alla ricerca di nuove prospettive professionali, le motivazioni che spingono i talenti a considerare il trasferimento all'estero sono molteplici e complesse. Emerge chiaramente la necessità di un supporto concreto da parte dei datori di lavoro per agevolare questa transizione e garantire ai professionisti un'esperienza soddisfacente. Con una comprensione approfondita di queste dinamiche e un ruolo attivo di governi e istituzioni, la disponibilità alla mobilità dei talenti e la necessità delle aziende di attrarre i migliori, possono incontrarsi attraverso strategie efficaci e soddisfacenti per tutte le parti interessate.

Ecco come le aziende attirano talenti

Stipendio, crescita professionale e flessibilità. Sono questi i tre pilastri su cui le aziende dovranno costruire il lavoro del futuro. Nel corso degli ultimi tre anni, l’attenzione al proprio benessere è cresciuta esponenzialmente ed è diventato un valore non più negoziabile e, probabilmente per la prima volta, i lavoratori sono in una posizione di vantaggio e vogliono poter scegliere quello che ritengono sia il posto giusto.

«Stare bene anche in ufficio – precisa Massimo Mariani di AB Lavoro – è ormai indispensabile e sempre meno lavoratori, indipendentemente dalla seniority o dal ruolo, sono disponibili a sacrificare la propria vita privata a favore della carriera. Questo porta con sé un cambiamento enorme che potrebbe tradursi in una vera e propria rivoluzione culturale, che rischia di avere impatti notevoli anche sul business. I professionisti più qualificati, infatti, non si aspettano più di rimanere per sempre nella stessa azienda e sono diventati molto più aperti al cambiamento. Potremmo dire, per semplificare, che è svanita quasi del tutto quella fedeltà nei confronti della propria azienda che ha caratterizzato il mondo del lavoro negli ultimi decenni».

È un cambio di mentalità che può sorprendere i datori di lavoro che stanno riscontrando sempre maggiori difficoltà ad attrarre e, soprattutto, a trattenere i talenti. Il lavoro, infatti, rappresenta sempre meno priorità o l’unica fonte di realizzazione personale: se manca l’equilibrio tra lavoro e vita privata e se gli obiettivi o le aspettative dovessero iniziare a non coincidere più con quelli aziendali, le persone non avrebbero alcun problema a rivolgere lo sguardo altrove.

«In questo nuovo modo di lavorare – aggiunge Giacomo Grilli di AB Lavoro – lo stipendio rimane uno degli elementi che influisce, più di altri, sulla scelta di cambiare o meno azienda. I candidati, come è normale che sia, si aspettano una retribuzione commisurata all’esperienza e al ruolo, soprattutto in un momento economicamente complesso come quello attuale, e valutano favorevolmente anche benefit non monetari integrativi come, ad esempio, buoni pasto, messa a disposizione di dispositivi tecnologici o assicurazioni medico-sanitarie integrative. Concentrarsi su ciò che conta di più per le persone è la chiave per non perdere i migliori talenti ed è su questo che chi si occupa di gestione delle risorse umane dovrà puntare».

Anche avere una carriera brillante non è la priorità perché ormai contano molto di più l’equilibrio tra vita privata e vita professionale e la flessibilità che, come abbiamo visto, sono i tasselli che – insieme a uno stipendio adeguato che garantisce tranquillità – sempre più compongono il mosaico del lavoro del futuro.

Al via la II edizione di Open Innovation Challenge 2024

Individuare e formare giovani talenti e sviluppare nuovi progetti innovativi, in grado di migliorare la vita di famiglie e imprese. Sono questi gli obiettivi di Open Innovation Challenge 2024, il progetto promosso da Optima Italia, assieme alle Università di Napoli Federico II e Suor Orsola Benincasa. Il contest, giunto alla II edizione, prevede il coinvolgimento di studenti universitari, che insieme ai dipendenti di Optima, formeranno veri e propri team, che avranno l’obiettivo di individuare nuove idee, per lanciare progetti innovativi capaci di migliorare la customer experience. In questa edizione i temi su cui si concentreranno i progetti riguarderanno l’ambito della Sostenibilità, dell’Intelligenza Artificiale e del mondo Telco (telefonia). Per un mese intero, i vari team avranno l'opportunità di ideare e perfezionare i loro progetti, che saranno poi presentati nel mese di giugno e valutati dalla giuria e dalla community di Optima che ne decreteranno il vincitore. Gli studenti vincitori del premio “Open Innovation Challenge” si aggiudicheranno uno stage in azienda e, insieme ai dipendenti Optima che compongono il loro team, vinceranno anche un viaggio della durata di un weekend in una capitale Europea. Per gli universitari si tratta di una buona opportunità di inserimento in azienda, visto che il programma di Talent Acquisition nel corso del 2023 ha portato all’assunzione del 42% di stagisti.

Fondata a Napoli nel ’99, Optima Italia è una digital company, attiva nei settori dell’energia (Gas e Luce), delle telecomunicazioni (Internet, Telefono e Mobile) e dei servizi alla persona (tra i quali Assistenza h24, Teleconsulto Medico e Consulenza Legale) oltre a offrire tutta una serie di prodotti e servizi per l’efficientamento energetico. Oggi conta un organico di circa 800 dipendenti e consulenti, con età media inferiore ai 35 anni.

Per saperne di più sul progetto: https://innovationchallenge.optimaitalia.com/.


Indagine sulla soddisfazione interna

Non sempre il punto di vista dei lavoratori coincide con quello delle aziende, soprattutto rispetto al livello di soddisfazione interna. È quanto emerge dall’Osservatorio sul mercato del lavoro 2.0 dell’Agenzia per il lavoro Maw, secondo cui le aziende italiane ritengono che il 92% dei propri dipendenti sia soddisfatto della propria posizione lavorativa contro l’effettivo 31% dei lavoratori1
che si definisce tale.

In base ai risultati raccolti, le aziende dimostrano di avere una percezione reale dei bisogni primari dei propri lavoratori. Secondo il campione, infatti, i lavoratori sono felici di lavorare nella propria azienda essenzialmente per uno stipendio adeguato (53%) e buon clima (44%), in linea con quanto indicato dai dipendenti: rispettivamente al 76% e 56%.

Queste due ragioni rientrano anche nella lista delle tre priorità che avrebbero i dipendenti secondo le aziende: retribuzione (65%), bel clima lavorativo e buon rapporto con superiori e colleghi (61%) e carichi di lavoro adeguati (43%). Agli ultimi posti poter essere creativi (2%) e l’opportunità di fare esperienze internazionali (1%) così come la possibilità di far carriera (4%).

Sulla carriera, i talenti avevano in effetti dichiarato per il 55% che fosse molto importante ma, paragonata ad altri aspetti personali, si classificava comunque al quarto posto dopo famiglia (28%), realizzazione personale (23%), e vita privata in generale (15%).

Emerge un gap nelle strategie aziendali di retention delle proprie risorse: una percentuale del 40% si limita ad un brindisi in occasione delle feste mentre solo un 10% costruisce momenti dedicati di team building una volta all’anno.

Le esigenze dei lavoratori in termini di benefit sembrano essere in gran parte riconosciute dalle aziende.

Tra i benefit più comuni ci sono telefono aziendale (45%), buoni pasto (42%) e formazione (40%), auto aziendale (38%), buoni benzina (32%), mentre bassa è la percentuale di chi concede lo smart working (27%), bonus in denaro (26%) e quasi nulla i congedi parentali extra (4%).

Coincidono in parte con quanto desiderato dai dipendenti: tra i benefit più ambiti spiccano i bonus in denaro (54%), seguiti dai buoni pasto (33%) e i corsi di formazione (22%). La quota di chi desidera lo smart working è registrata al 16%, soprattutto dai lavoratori delle grandi aziende, mentre i lavoratori di piccole imprese chiedono maggiormente formazione.

In prospettiva, pacchetti welfare con società specializzate (28%), buoni pasto e benzina (11%) sono tra i benefit che le aziende sono più propense a dare, più restie invece sui congedi parentali extra e bonus in denaro (9%) e smartworking (6%).

«È interessante notare come, nonostante le aziende dimostrino di riconoscere i bisogni lavorativi e le priorità delle proprie persone, emerga comunque un gap fra il livello di soddisfazione percepito e quello reale dei lavoratori - conclude Federico Vione, ceo di Maw -. Abbiamo chiesto alle nostre aziende quali sono le soluzioni che adottano per accompagnare la crescita dei propri lavoratori e convincerli a rimanere in azienda. Il 39% punta su una maggiore responsabilizzazione offrendo ruoli più alti mentre il 36% punta sulla valorizzazione economica tramite l’aumento di stipendio. Solo il 16% pensa a inserire i propri talenti in percorsi di crescita misurati in base alla produttività e ancora meno, il 10%, investe in momenti di team building una volta all’anno. È necessario far capire che puntare soltanto su incentivi economici e di ruolo centra gli obiettivi di retention fino a un certo punto, soprattutto se queste scelte rientrano in strategie precostituite che non rispondono ai bisogni reali dei lavoratori. L’era delle check list e di formule applicabili indistintamente per tutti è ormai finita: oggi i talenti restano nelle aziende in cui vengono visti e ascoltati, prima ancora che valorizzati, davvero. Finché non lo capiremo, non saremo davvero in grado di creare organizzazioni unite verso obiettivi di crescita comuni».



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