L’ultimo studio Adp (Automatic Data Processing) “People Unboxed” ha intervistato più di 2.500 lavoratori fra Francia, Germania, Italia, Olanda e Regno Unito, rilevando abitudini e contraddizioni dei lavoratori sia europei, sia dei singoli Paesi. Grazie a questa nuova indagine è possibile tracciare alcune caratteristiche peculiari dei lavoratori italiani:
1) I SOLDI NON SONO TUTTO
Per una significativa minoranza di lavoratori, la passione e la soddisfazione battono il compenso economico, con un quinto (21%) degli intervistati che afferma di lavorare per amore di ciò che fa, mentre uno su dieci afferma di lavorare perché ama l’azienda per cui lavora (12%), e un ulteriore 9% perché vuole crescere professionalmente e avanzare nella carriera. Per contrasto, oltre un terzo (37%) sostiene come la primaria motivazione sia quella di guadagnare per soddisfare le proprie necessità, e per il l’11% per potersi permettere tutto (o quasi) ciò che si vuole.
«Ogni lavoratore è spinto da una moltitudine di differenti fattori, la nostra ricerca dimostra come lo scarto fra motivazioni economiche e non economiche possa avere importanti implicazioni sull’impegno e la soddisfazione dei dipendenti - commenta Virginia Magliulo, general manager di Adp Italia -. È provato che il coinvolgimento e l’impegno sono fattori importanti sia per la produttività dei dipendenti sia per il successo organizzativo complessivo».
2) CAPO E COLLEGHI? MEGLIO AMICI CHE NEMICI
Solo l’11% dei lavoratori italiani dichiara di non avere nessun rapporto col proprio capo, tanto da affermare “mi conosce a malapena”, mentre il 20% crede nel proprio boss e gli dà piena fiducia. Il 45% afferma di lavorare sempre a stretto contatto col capo e di collaborare con lui in modo positivo. Inoltre il 73% dei dipendenti in Italia ha un buon rapporto con i propri colleghi. Di questi, il 27% considera i colleghi dei veri e propri amici, con cui condividere anche momenti al di fuori del lavoro. Il 46% ci lavora molto bene e prova affetto per loro, ma senza cercare poi un coinvolgimento anche al di fuori dell’ambito lavorativo.
«I rapporti positivi tra colleghi favoriscono enormemente la produttività e il coinvolgimento dei dipendenti. Se tali rapporti sono buoni, l'effetto è clamorosamente positivo – afferma Magliulo - Al contrario, quando i rapporti tra colleghi non sono buoni, ciò ha quasi immediatamente un impatto negativo sulla produttività».
3) I MALATI IMMAGINARI
“Solo” un quinto (20%) degli impiegati italiani ritiene che non sia sbagliato “darsi malato” al lavoro quando non si ha proprio la voglia di andarci, mentre un buon 65% non è d’accordo. Tra coloro che si dicono d’accordo un 20% ritiene che i giorni ideali per assentarsi come “malati immaginari” siano due, un altro 20% arriva a tre giorni, l’11% rimane fermo a un solo giorno, il 15% ritiene ci si possa spingere anche a quattro, ma addirittura il 19% crede che si possa anche fingere tra i cinque e i dieci giorni. Il dato italiano fa riflettere, soprattutto se rapportato anche al fatto che tre quarti (79%) degli impiegati ha confessato di aver provato spesso un malessere mentale al solo pensiero di andare a lavoro.
La general manager di Adp commenta: «Tutti sappiamo quanto l’assenza degli impiegati costi alle aziende, per questo bisogna prevenire il fenomeno delle finte malattie. Visto che troppo spesso questa tendenza è legata all’insoddisfazione dei lavoratori, i datori di lavoro hanno un compito fondamentale nell'invertire questo atteggiamento preoccupante».
4) L’IMPORTANZA DI SEPARARE LAVORO E AFFETTI
Tre quarti degli impiegati italiani preferisce separare nettamente la vita lavorativa da quella domestica (78%). Nonostante ciò, quasi la metà dei lavoratori afferma che una brutta giornata lavorativa influenza la propria vita personale (46%). Il 56% degli italiani sostiene che la propria vita privata influisce sulle prestazioni lavorative (no per il 17%). Alla domanda “cosa pensi che possa impattare positivamente sul tuo benessere mentale e psicologico in tema lavoro?” il 43% degli italiani ha risposto il lavoro flessibile, ma con attenzione ancora una volta alla separazione delle due sfere.
«Con l'aumento del lavoro flessibile e l'uso diffuso delle tecnologie come supporto sul posto di lavoro, le società rischiano di incoraggiare una cultura del lavoro "sempre attivo”- dichiara Magliulo - e questo potrebbe persino avere un impatto negativo sulla produttività. Le persone che desiderano unire lavoro e vita privata devono avere la possibilità di farlo. Analogamente, tale diritto deve essere riconosciuto anche a coloro che vogliono mantenere le due sfere ben distinte».
A livello europeo, lo studio ha rilevato che il 46% degli impiegati sente che il capo non comprende né loro né il loro potenziale. Il sondaggio ha inoltre mostrato che un terzo degli impiegati europei sono insoddisfatti della qualità della leadership (33%), evidenziando una significativa distanza fra datori di lavoro e lavoratori.
I lavoratori francesi sono i più inclini a sentirsi incompresi (52%), seguiti a breve distanza dagli inglesi (50%), dagli italiani (48%) e dai tedeschi (46%), mentre gli olandesi danno opinioni più positive con solo un terzo di loro che si sente incompreso (35%).
Questi risultati sono supportati da altri aspetti dello studio che dimostrano ciò che motiva i dipendenti, che li rende felici, impegnati nel lavoro, e che li spinge a rimanere. Ad esempio, la ricerca ha rilevato che per molti lavoratori il denaro non è la motivazione principale: il 48% afferma di andare a lavoro per motivi quali lo sviluppo personale, la soddisfazione e le relazioni sul posto di lavoro.
Valutando quando la mancanza di motivazione può trasformarsi in distacco, lo studio ha rilevato anche che un quarto (28%) dei dipendenti europei vorrebbe lasciare il lavoro ogni pochi mesi, e più di uno su dieci (il 13%) considera l’ipotesi su base settimanale o più.
Amichevole col capo e i colleghi, attento alla vita privata, in cerca di un buon guadagno, ma anche di soddisfazione personale
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