martedì 7 aprile 2015
Le capacità di innovazione vengono richieste sempre di più a chi segue i processi produttivi,  non solo a livello dirigenziale, ma anche di quadro o di operatore altamente specializzato. Ciò avviene sia per aziende italiane, sia per insediamenti esteri in Italia.
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Aumentano le richieste di direttori Ricerca&Sviluppo, Innovazione e Industrializzazione nel settore alimentare. Lo rivela un’analisi di Elan International, società di head hunting. Le capacità di innovazione vengono richieste sempre di più a chi segue i processi produttivi,  non solo a livello dirigenziale, ma anche di quadro o di operatore altamente specializzato. Ciò avviene su tutto il territorio italiano, sia per aziende italiane, sia per insediamenti esteri in Italia. L’analisi di Elan International evidenzia inoltre che sono gli Head Quarter italiani a richiedere più le posizioni “tecniche” (Ricerca, Produzione, Ingegneria). Ma vediamo questa domanda sorgere anche da parte di realtà estere. Nel settore food, per le filiali di grandi aziende europee o americane presenti in Italia, ora diventa più appetibile la figura commerciale e di country manager con compiti di coordinamento su tutte le funzioni italiane, ma con forte integrazione con l’Head Quarter sulle politiche commerciali, oppure, a seconda delle dimensioni, di un vero e proprio Amministratore Delegato/Direttore Generale. "Questo risveglio del mondo food è legato al territorio, alla grande provincia italiana - spiega Giuseppe Cristoferi, partner di Elan International -. Lo vediamo nel settore birra, con l’esplosione delle birre artigianali, un mercato di nicchia in forte espansione e articolato in presidi produttivi sparsi sul territorio, da Cuneo a Padova ad esempio, ma non solo. Lo vediamo nelle bibite, nei dolci, nei dessert. Ma ce ne accorgiamo anche nei cibi e nelle farine con e senza glutine, nelle miscele particolari, nei lieviti, in tutti quei processi fermentativi che rendono questo mondo del food così vicino alla chimica/farmaceutica. Tuttavia, non è un fenomeno solo italiano. Nel campo dell’innovazione nell’alimentare sono molto presenti tedeschi e francesi. Per di più, all’estero sanno raggiungere dimensioni aziendali notevoli, con disponibilità maggiori per la ricerca. Del resto è sotto gli occhi di tutti la conquista - da parte francese soprattutto - di formidabili aziende italiane, come Parmalat. Ma non è la sola. Nel campo del latte, dello yogurt (e il passo verso i probiotici è breve), ci sono altre aziende (francesi in particolare) che si muovono con sempre maggiore agilità nel territorio italiano. Ma questo non deve essere visto come una minaccia. Anzi, può servire di stimolo a rappresentare un elemento di contaminazione felice. A volte è addirittura la filiale italiana di una grande multinazionale a farsi portatrice di innovazione di prodotto e di processo, che vengono poi adottate world wide. E questo in tutti i campi dell’alimentare, alla birra ai dolci. Ma abbiamo anche noi le nostre multinazionali alimentari con Head Quarter in Italia. Faccio riferimento a Barilla e Campari, ad esempio. Certo, Campari e Barilla; ma anche il Gruppo Bolton, Granarolo e il mondo delle Cooperative, le aziende conserviere nell’area emiliana, le multinazionali italiane nel caffè, nei prodotti per le ricorrenze, per la pasta. Sono piccoli e grandi operatori che si muovono sul terreno dell’innovazione e dello sviluppo. Per non dire del vino, dove la qualità dell’innovazione portano le aziende italiane a competere con successo all’estero. Viceversa, qualche volta i “local jewels” vengono talmente sviluppati bene dalle filiali italiane di grandi multinazionali che alla stessa sede italiana è affidato il compito dell’export per una determinata regione, o di fare da apripista per l’innovazione".
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