Nel 2030 saranno 9,6 milioni gli italiani con un’età compresa fra i 55 ai 64 anni, con un aumento del 27% sul 2014. Un impatto demografico importante, destinato ad avere conseguenze sulla gestione delle risorse umane di ogni azienda. Gli indicatori elaborati per conto di Umana da alcuni fra i più autorevoli specialisti del settore, raccontano fra l’altro che se nel 1980 in Italia ogni dieci uscite dal lavoro erano sostituite da 17 nuovi potenziali inserimenti, nel prossimo decennio questa proporzione si ridurrà a sette ogni dieci. Saper gestire il rapporto fra i lavoratori 'anziani' e 'giovani' è oggi la chiave di volta per evitare una profonda crisi di sistema. Il patto fra generazioni diverse diventa dunque strategico, superando il tema delle età e guardando alle persone, al loro percorso, alle loro sapienze. Sullo sfondo, il dibattito sulla riforma del sistema pensionistico di queste ore. Sono questi i temi che Umana, Agenzia per il lavoro, affronterà in un convegno che si terrà lunedì a Milano:
Age management, conoscere la propria azienda per farla crescere. Tra i relatori Alessandro Rosina, docente di Demografia all'Università Cattolica e autore con A. de Rose di Demografia (Egea, 2014).
Come rendere produttiva la presenza di giovani e anziani nella stessa azienda?Aumentare la partecipazione al mercato del lavoro di giovani e più maturi è prima di tutto una necessità. Noi siamo un Paese che invecchia più degli altri e che quindi vedrà all’interno delle età lavorative diminuire le fasce centrali (i trentenni e quarantenni) e crescere soprattutto gli over 50. Se non riusciremo a valorizzare gli adulti più maturi e a renderli produttivi all’interno della aziende, rischiamo sia di diminuire la già bassa crescita e competitività del sistema produttivo italiano sia di avere un sistema sociale poco sostenibile per il carico dei crescenti inattivi sui sempre meno occupati.
Qual è la formula per uscire da questa situazione?La crescita dell’occupazione degli over 50 deve e può combinarsi positivamente con la presenza di giovani. Come è ben noto abbiamo un alto tasso di disoccupazione giovanile, ma basso è anche il tasso di attività nella fascia 55-64 (pari al 48,9%) sotto di sette punti percentuali rispetto alla media europea e sotto di oltre 20 rispetto alla Germania, abbiamo quindi margini di crescita su entrambi i fronti. Nei Paesi che investono maggiormente in formazione continua e sul capitale umano, oltre che su pratiche di
age management, non c’è la crescita di una componente a discapito dell’altra. La chiave di volta è non guardare all’età ma alle persone, alle loro capacità e alle competenze da mantenere elevate in tutte le fasi della vita. Le fasi della vita vanno poi valorizzate per le loro specificità, come vale per la capacità di innovazione dei giovani e per l’esperienza dei più maturi. Tutte le formule che consentono di lavorare bene assieme dando valore allo sviluppo umano nella professione e all’interazione tra abilità e conoscenze diverse consentono di aumentare sia produttività che competitività. Lo si vede nelle esperienze aziendali che adottano pratiche di
interaging, tutoraggio e di
mentoring, ma anche nelle modalità nuove di creazione del lavoro. Si pensi agli spazi di
coworking nei quali lavorano giovani imprenditori su campi diversi che si contaminano a vicenda nel cercare nuove soluzioni e mettendo in comune esperienze. In tali luoghi stanno oggi trovando spazio anche persone più mature che arricchiscono ulteriormente le sinergie tra di esperienze, saper fare e innovazione.
Il welfare e la formazione possono aiutare?La formazione è cruciale. Sia quella di partenza, che pesa di più nelle fasi giovanili, sia il
life-long learning che consente di continuare a mantenere alta la produttività e la qualità del lavoro per tutto l’arco della vita attiva. Su entrambi questi punti noi investiamo meno rispetto agli altri paesi. Inoltre importante è il welfare, sia pubblico che aziendale perché si dimostra migliorare la qualità della permanenza e delle relazioni nell’ambiente di lavoro. Migliora anche le motivazioni. Ci sono varie ricerche che mostrano come la possibilità di conciliare efficacemente famiglia e lavoro consenta di essere anche più produttivi. IL benessere della persona sia fisico che sociale e relazionale, favorito da adeguate politiche di welfare, ha ricadute positive nel modo di porsi rispetto al lavoro e nell’impegno riversato. Per molte donne di mezza età, ma non solo, la possibilità poi di poter contare su servizi di welfare per i genitori anziani consente di combinare adeguatamente lavoro e attività di cura riducendo i rischio di rinunce o sovraccarichi.
Cosa si prevede per il futuro, visto l'innalzamento
dell'età pensionabile, ma anche l'ingresso sempre più in ritardo dei
giovani nel mondo del lavoro?Viviamo sempre più a lungo e tutte le fasi della vita sono in continua rivoluzione. I tempi di transizione alla vita adulta si sono allungati e la longevità consente ai più di arrivare in buona salute e in condizione attiva fino ai 70 anni e oltre. Questo significa che si lavorerà sempre più a lungo, ma in modo flessibile, sia in entrata che in uscita. In entrata perché è utile mescolare esperienze di studio e lavoro anche durate il percorso formativo. In uscita perché pur rimanendo attivi a lungo non si può pensare di lavorare a 60 anni nello stesso modo in cui si lavorava a 35 anni. Vive con successo l’età matura è chi si mette continuamente in gioco, sa riconoscere potenzialità e specificità delle varie fasi della vita e si prepara per tempo ad arrivare preparato a cogliere il meglio da ogni stagione. Il vivere a lungo è una opportunità sia se i singoli adottano questo approccio di aggiustamento dinamico del proprio percorso, sia se le aziende e il sistema paese forniscono ad essi strumenti adeguati per vivere bene, lavorare bene e fare le scelte migliori, non solo in funzione dell’utilità di oggi ma anche del benessere di domani.