sabato 8 febbraio 2020
Da un lato i fondi che scommettono al ribasso, dall’altro decine di migliaia di ragazzini che si improvvisano trader. In mezzo c'è Tesla con le sue auto elettriche e azioni andate fuori controllo
Elon Musk, il leader di Tesla

Elon Musk, il leader di Tesla - Reuters

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Se Elon Musk non è più presidente di Tesla è perché nell’agosto del 2018 ha fatto una delle sue follie. Senza nessun riguardo per le norme che regolano le comunicazioni di notizie da parte di una società quotata, aveva scritto su Twitter che c’era un investitore pronto ad aiutarlo a ritirare dal Nasdaq l’azienda regina dell’auto elettrica. Avrebbe comprato tutte le azioni per 420 dollari l’una, 70 in più delle quotazioni dell’epoca. Quando la Sec, che vigila sulla Borsa americana, gli ha chiesto spiegazioni, Musk prima ha risposto che l’investitore era il fondo sovrano dell’Arabia Saudita, quindi ha ammesso non c’era nulla di concreto. La Sec lo ha multato e gli ha imposto di rinunciare alla presidenza.

Da allora alle azioni di Tesla è capitato un po’ di tutto. Prima sono scivolate fin sotto i 200 dollari. Poi, dallo scorso ottobre, hanno preso il volo: a fine dicembre hanno raggiunto davvero i 420 dollari, a metà gennaio hanno superato i 500. Questa settimana sono andate fuori controllo: hanno guadagnato il 37% in due giorni, poi sono scivolate del 17% e si sono calmate, assestandosi attorno ai 750 dollari. L’intera azienda a giugno valeva poco più di 31 miliardi di dollari, ora ne vale 135.

L'andamento del titolo Tesla nelle ultime settimane

L'andamento del titolo Tesla nelle ultime settimane - Tradingview

Uscire dalla Borsa per lasciare lavorare l'azienda

Come imprenditore, Musk è pieno di difetti: ha il vizio di spararla grossa, pochissimo autocontrollo, una vita privata turbolenta. Però è anche un manager visionario dalle grandi intuizioni e sprazzi di inaspettata saggezza. Aveva probabilmente ragione quando spiegava che ritirare Tesla dalla Borsa poteva essere una soluzione per «creare l’ambiente in cui l’azienda possa lavorare al meglio», senza quelle «oscillazioni selvagge del prezzo delle azioni che possono essere una grande distrazione per tutti quelli che lavorano in Tesla, che sono tutti azionisti».

Musk aveva ragione perché quello che sta accadendo attorno al titolo Tsla è la dimostrazione di quanto, a più di dieci anni dallo scoppio dell’ultima grande crisi finanziaria, i mercati siano ancora giungle dove tutto è permesso. In un mondo ideale, il valore di un’azienda quotata in Borsa dipende dai cosiddetti fondamentali: quello che l’impresa sa fare, i profitti che è in grado di produrre e, soprattutto, gli utili che saprà generare negli anni a venire. Nel mondo reale, però, nel determinare il prezzo di un’azione gli “umori” del mercato e le strategie speculative spesso contano molto più delle analisi economiche.

Tutti i dubbi degli analisti

Nel caso di Tesla, sono pochi gli analisti che ritengono sensati i valori raggiunti questa settimana. È vero che con i conti del 2019, presentati il 29 gennaio, l’azienda ha rafforzato l’idea che il suo business sia sostenibile: ha chiuso due trimestri consecutivi in utile (pur avendo perso 862 milioni nei 12 mesi), ha generato 1,1 miliardi cassa. Però ha anche tagliato di un miliardo gli investimenti, che sono il tradizionale presupposto per la crescita futura, e continua a lavorare su un mercato molto ristretto: nel 2019 ha venduto in tutto 367.500 auto.

Questi numeri non giustificano una valutazione dell’intera Tesla attorno ai 135 miliardi di dollari. Volkswagen, che con 11 milioni di auto vendute si è confermata nel 2019 il primo costruttore al mondo e che secondo le stime ha chiuso l’anno con 11,8 miliardi di utili, vale 85 miliardi di euro. Ferrari, produttore di nicchia che può essere più paragonabile a Tesla, l’anno scorso ha fatto 700 milioni di euro di utili e in Borsa vale circa 42 miliardi.

Comunque la si voglia mettere, i conti non tornano. Ritenere che l’azienda di Musk possa valere un po’ meno del doppio di Volkswagen e il triplo di Ferrari significa scommettere su diverse ipotesi: che l’auto elettrica diventi molto presto lo standard del settore, che i costruttori tradizionali non riescano a produrre modelli capaci di recuperare il vantaggio rispetto a Tesla e che l’azienda americana possa superare tutti i suoi problemi di redditività e produzione.

L'interno della fabbrica di Tesla a Shanghai, inaugurata a gennaio

L'interno della fabbrica di Tesla a Shanghai, inaugurata a gennaio - Reuters

La battaglia tra i ribassisti e i fan di Elon

Come altre aziende innovative guidate da visionari che promettono di “cambiare il mondo” (Apple ne è l’esempio migliore), Tesla tende a dividere il pubblico in tifoserie: da un lato chi “sta con Musk” ed è convinto che ci stia guidando verso il futuro, dall’altro chi sospetta che quello del manager sudafricano sia un colossale bluff.

A Wall Street questi schieramenti – con meno ideali e più interessi speculativi – si combattono da anni. Da un lato c’è chi alimenta sui mercati la retorica para-messianica di Musk e arriva a prevedere, come ha fatto ad esempio il fondo Ark Invest, che le azioni Tesla fra cinque anni varranno 7mila dollari l’una. Dall’altro c’è chi scommette sul fallimento del piano di Musk. Tesla da tempo è la società quotata su cui ci sono più speculazioni al ribasso. Il 18% delle azioni, secondo le stime degli analisti di S3 Partners, è in mano a fondi che stanno facendo scommesse sulla caduta del titolo: prendono a prestito le azioni per rivenderle subito contando che, quando dovranno restituirle al proprietario, potranno ricomprarle a sconto e guadagnare sulla differenza. Nelle ultime settimane i ribassisti che si sono “arresi” davanti ai rialzi delle azioni Tesla hanno perso diversi miliardi di dollari. Sono stati proprio loro, correndo a ricomprare le azioni prima che i prezzi salissero ulteriormente, ad alimentare il balzo di questi giorni.

I ragazzini che comprano le azioni

Sia chi scommette sul successo di Tesla che chi punta al suo fallimento può contare sull’effetto traino che può avere sulla massa dei piccoli speculatori. Le piattaforme online sempre più diffuse hanno aperto il mondo del trading di azioni a milioni di persone che, fino a pochi anni fa, non avrebbero avuto modo di operare sui mercati con strumenti simili a quelli di un professionista, senza averne competenze. Impreparati ed emotivi, questi piccoli investitori si prestano facilmente ad essere utilizzati dai fondi speculativi senza scrupoli, che se li “tirano dietro” per rafforzare la massa critica delle loro operazioni.

D’altra parte, come spiega bene l’analista Martin Tiellier sul portale del Nasdaq, «i trader professionisti sono essenzialmente le pecore meglio pagate del gregge»: a loro basta che la massa si muova un po’, non importa in quale direzione e per quale motivo, per guadagnare dai suoi movimenti. È successo con i bitcoin due anni fa così come sui titoli legati alla marijuana lo scorso anno. Sfruttando anche i social network, gli speculatori sfruttano l’effetto FOMO, sigla che sta per "Fear of missing out", cioè la paura di essere tagliati fuori, di perdersi un’occasione.

Negli Stati Uniti esiste un’app, Robinhood, che permette di comprare e vendere azioni senza costi di commissione aprendo il trading anche ai ragazzini. Nel giro di pochi giorni, sulla scia della corsa delle quotazioni, gli utenti di questa app che avevano nel portafoglio azioni di Tesla sono saliti da 123mila a 154mila. Non occorre avere conquistato un master in finanza alla Bocconi per capire che comprare un titolo quando il prezzo sale e venderlo quando scende è un metodo sicuro per perdere soldi.

La Model 3, uno dei modelli di punta di Tesla

La Model 3, uno dei modelli di punta di Tesla - Tesla

Musk premiato se Tesla vale più di 100 miliardi

Secondo un documento che l’azienda ha consegnato alla Sec nel 2018, Musk, che è anche primo azionista di Tesla con il 20% delle azioni, ha diritto a premi in stock option al raggiungimento di alcuni obiettivi operativi e finanziari. Il primo obiettivo finanziario è che Tesla capitalizzi più di 100 miliardi di dollari nelle media di almeno 30 giorni e di 6 mesi consecutivi. Ai valori attuali questo premio varrebbe attorno ai 350 milioni di dollari. Per il manager sudafricano la corsa del titolo quindi non è solo motivo di orgoglio ma anche oggettivo vantaggio di finanza personale.

Questo suo interesse particolare rende meno folcloristico e più sospetto il modo in cui Musk abbia preso l’abitudine di coccolare i fan finanziari che difendono Tesla sui social network e con un canale dedicato su Youtube: risponde ai loro tweet, li invita a incontri personali, partecipa ai loro video. Proprio quel genere di “distrazioni” che Tesla si sarebbe potuta evitare se il manager avesse insistito sul progetto di portare questa azienda fuori dal listino, tirandola fuori da una giungla di speculazioni, tifoserie interessate e conflitti di interesse che sicuramente non la aiutano a «dare il suo meglio» – come scriveva Musk – e rischiano di trasformare l’affascinante racconto della partita globale per costruire le auto del futuro in un triste show di affaristi e creduloni.

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