martedì 19 marzo 2013
​Tetto spiovente, due porte, quattro posti, il design e l'esclusività come primi obiettivi. Il marchio britannico stupisce ancora con una nuova coupè sportiva
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​E con questa fanno sette, tanti sono ormai i modelli col marchio Mini in circolazione sulle nostre strade. Quella che doveva essere solo una vettura, nel corso degli ultimi 13 anni è diventato un vero e proprio brand, come dicono quelli che contano. Ovvero, è un marchio completo e con la versione Paceman, la nuova portabandiera, si entra in un ambito fatto di moda, design, scelte di gusto e tendenze. Ovvero, l’auto oltre l’auto.

Quando invece del vestito si indossa un modello, uno stile fatto di linee armonizzate, di clichè da superare e tendenze da tracciare. Con Paceman, Mini entra in un settore completamente diverso dove la trazione integrale c’è ma si può farne a meno a seconda della versione scelta, un settore fatto di spazi maggiori con appena 4 posti larghi, comodi ma dove il quinto passeggero non è nemmeno previsto.

È una vettura che come linea frontale ricorda la Countryman ma poi la vedi di lato e scopri che è una coupè, dalla linea estrema e più bassa di 43 millimetri rispetto alla tradizione. In casa Mini la definiscono SAV, sport activity vehicle, cioè non è il solito Suv, ma qualcosa di diverso, una vettura per la città, per le serate alla moda, per frequentare ambienti chic dove la classe non è fatta di opulenza e scelte costose ma da particolari, magari campagnoli dove la fetta di pane e salame viene gustata con un bicchiere di rosso tradizionale e antico. Perché per Mini Paceman la classe e lo stile sono qualcosa di innato, e quindi ben venga un nuovo modo di intendere e di volere l’auto.

Sotto questo profilo, che è più una filosofia di vita invece di una meccanica a quattro ruote, ci sta tutto il meglio della tecnologia Mini. L’assetto quando la guidi ricorda sempre il go kart, con la differenza che al volante della Paceman non ti spacchi la schiena. D’altronde, il cliente di riferimento è un uomo dai 36 ai 50 anni, quindi maturo, cresciuto e non più fresco al punto da sopportare sobbalzi e botte nella schiena. Per questo l’assetto di Paceman è sì da go kart ma anche molto morbido, di quelli che non ti fanno soffrire per apparire.

Rispetto alla Countryman la tenuta è più lineare, meno problematica quando arriva il difficile. Come dire che sul viscido e lo sterrato non arriva la reazione automatica del differenziale, ma capisci cosa succede, dove stai andando e come devi guidare. In questo la vita è più facile, quindi a prova di incapace, nel senso che l’elettronica, tanta, aiuta e permette sicurezza e tranquillità a bordo. Fra l’altro, sia col motore diesel sia con quello a benzina, i rumori di fondo sono accettabili e questo si traduce in confort.

Il problema, anzi i problemi, restano due: i prezzi, che anche se partono da 24.500 euro e arrivano agli oltre 37 mila della JCW, restano alti. Per una versione diesel a 4 ruote motrici bisogna mettere in conto oltre 31 mila euro. Insomma, stile e fascino sì, ma non a buon prezzo. Il secondo problema, con tutte queste Mini, dalla versione base alla Paceman, passando per roadster e coupè, è che è facile confondersi un po’. Con Paceman comunque siamo arrivati al punto di partenza della Mini del futuro, fatta di spazi maggiori, di bagagliai col minimo spazio indispensabile. Per quanto riguarda i motori, poco da dire, due diesel e due benzina, da 112 a 184 cv, tutti della famiglia Cooper: ottimi, come da tradizione, anche se il diesel resta la scelta migliore per coppia, consumi e guidabilità. Ma questa è un’idea personale che non fa testo né tendenza modaiola.

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