L'ascensore sociale in Italia è bloccato e se si muove lo fa solo in discesa. Per i giovani le prospettive per il futuro non sono rosee: chi studia o muove i primi passi nel mondo del lavoro pensa che da "grande" starà in linea di massima peggio di quando viveva con mamma e papà. Con un lavoro meno qualificato e meno remunerato e un conseguente tenore di vita più basso. Un salto all’indietro insomma legato a profondi cambiamenti e iniziato con la crisi economica.
Questo pessimismo emerge dall’indagine condotta dall’Istituto Demopolis per Oxfam Italia su un campione stratificato di 1.040 giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni. Otto giovani su dieci si sentono vittime di un’accentuata disuguaglianza intergenerazionale che di fatto spegne le loro speranze a breve e lungo termine. Il 66% degli intervistati si aspetta per il proprio futuro una posizione sociale ed economica peggiore rispetto a quella della generazione passata. Un quarto immagina una permanenza di status e opportunità simili a quelle dei propri genitori e solo il 9% ipotizza condizioni migliori.
A fare i conti con la scarsa mobilità generazionale dei redditi e occupazionale sono tanti giovani under 35 con lavori intermittenti e dequalificati rispetto al percorso di formazione intrapreso e al titolo di studi conseguito. Una generazione incerta sul proprio futuro. «Sono diversi gli ambiti nei quali i giovani si ritengono penalizzati – spiega il direttore di Demopolis Pietro Vento – il 78% indica, al primo posto, la precarietà del lavoro con le minori tutele contrattuali; il 75% l’incertezza sul futuro, la convinzione di non poter contare in prospettiva sulle stesse certezze delle quali ha goduto la generazione dei propri genitori. Sette su dieci inoltre, lamentano la dimensione penalizzante di retribuzioni basse o inadeguate e il 67% individua inique prospettive previdenziali e di accesso alla pensione».
C’è poi il dato allarmante della generazione Neet. Elisa Bacciotti, direttrice del dipartimento Campagne di Oxfam Italia sottolinea come sono 3 milioni in Italia i giovani tra i 18 e i 34 anni che non studiano e hanno assunto un atteggiamento di completa rinuncia rispetto alle prospettive di lavoro ed apprendimento. A questi si aggiungono un altro milioni di giovani che un lavoro ce l’hanno, ma con retribuzioni ridotte, disciplinato da formule contrattuali lontane dal lavoro standard. «Siamo di fronte a un’intera generazione costretta a vivere al presente, su posizioni di difesa o di adattamento» sottolinea Bacciotti. Ad essere evidente è il disorientamento dei giovani: quattro su dieci ritengono di non possedere le informazioni necessarie sul mondo del lavoro e di non sapere come muoversi per cambiare la loro posizione. Un "gap" iniziato sui banchi di scuola.
Il sondaggio evidenzia inoltre come la percezione della diseguaglianza sia cresciuta negli ultimi cinque anni. Le disparità più forti sono legate al reddito, all’accesso e al mercato del lavoro ma anche alle differenti opportunità tra le aree del Paese. Due giovani su tre vorrebbero che il governo si attivasse con politiche mirate legate alla lotta all’evasione fiscale e al contrasto alla corruzione che incidono negativamente sulla creazione di nuovi posti di lavoro. Tra le richieste "pratiche" il salario minimo, politiche attive del lavoro e di orientamento in seno al mondo scolastico.