Sono oltre due milioni i giovani "Neet", ovvero i ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non lavorano (disoccupati e inattivi) e non frequentano alcun corso di istruzione o formazione. A rilanciare l’allarme una ricerca di Confindustria diffusa in occasione della XX Giornata nazionale Orientagiovani, tenutasi a Catania, con la partecipazione di oltre 1.000 studenti.
In particolare rileva la ricerca, i Neet sono in totale 2milioni 250mila, pari al 23,9%, e dall’inizio della crisi il loro numero è cresciuto del 21,1%, ossia 391mila in più, con un aumento nel 2012 di 95mila unità (+4,4%).
«Molti - rileva l'indagine - sono alla ricerca attiva di lavoro (40 per cento), circa un terzo sono forze di lavoro potenziali e il restante 29,4 per cento sono inattivi che non cercano lavoro e non sono disponibili a lavorare. In controtendenza rispetto al triennio precedente, nel 2012 l’aumento è ascrivibile esclusivamente alla componente disoccupata (+23,4 per cento pari a +172 mila unità».
A spiegare il ritardo dell’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani italiani, c’è anche un altro elemento che li pone a distanza dai coetanei europei, e cioè un approccio all’esperienza dello studio vissuta come esclusiva ed escludente rispetto a quella del lavoro. I due ambiti raramente si intersecano: c’è poca propensione nei giovani italiani a lavorare mentre si studia, a differenza di quanto avviene in altri paesi europei, dove esperienze professionali di vario tipo e sovrapposizioni tra formazione scolastica e aziendale sono più frequenti. I giovani italiani, così, studiano fino in età avanzata e iniziano a lavorare più tardi dei loro coetanei europei, ma lavoro e formazione continuano ad essere due mondi che non comunicano: piuttosto che agevolare l’ingresso nel mondo del lavoro, il completamento degli studi sembra segnare un passaggio traumatico che lascia una profonda frattura tra i due canali.
Giovani che il presidente di Confindustria ha spronato: "I ragazzi devono credere in loro stessi, credere in quello che fanno. Bisogna avere una buona preparazione di base e conoscere almeno due lingue, l'Italiano e l'Inglese come se fosse una lingua madre", ha detto Giorgio Squinzi. "E se posso dare un consiglio - ha concluso - ai ragazzi dico: non prendete scorciatoie perché la furbizia dà un vantaggio nel breve termine ma nel lungo non paga. La resa dei conti arriva per tutti".
Fiducia nei giovani l'ha espressa anche Ivan Lo Bello, vicepresidente per l'Education di Confindustria: "I ragazzi possono cambiare il Paese. Studiare è avere futuro perché studiare è un elemento fondamentale per avere un futuro e il percorso di studio può cambiarlo questo futuro. I giovani siciliani sono tutt'altro che scoraggiati e passivi. Viviamo in una terra in cui è costante il pericolo per le nuove generazioni di finire nel sommerso welfare della mafia. Eppure - ha osservato - con la disoccupazione che c'è i giovani resistono, reagiscono e si danno da fare e spesso sono loro a dare un esempio agli adulti. È importante studiare ma occorre anche uscire dai banchi e dall'ordinario perché non si impara solo a scuola, ma è fuori dalle aule che si forma il carattere. Per questo dovete essere dei fuoriclasse".