Wolfgang Schäuble, storico ministro delle Finanze tedesco - Ansa
Provate a domandare a un ateniese chi era Wolfgang Schäuble, scomparso martedì sera in Germania a 81 anni, e scoprirete dall’espressione corrucciata del vostro interlocutore che tutta la Grecia ricorda benissimo lo sguardo gelido di quell’uomo politico che pianificò l’uscita del Paese dall’Unione Europea come unica possibile soluzione per rimediare alla profonda crisi del debito ellenico.
Un debito allestito – questo non va mai dimenticato – su una montagna di trucchi e artifici di bilancio (la Goldman Sachs si prestò di buon grado all’operazione di cosmesi contabile che mise la Ue in condizione di accogliere Atene nell’Eurozona) e di studiate omissioni.
Dietro quegli occhi azzurri, dietro quelle lenti chiare che sottolineavano uno sguardo di cristallina durezza, dietro quell’inflessibilità luterana nell’osservare le regole si è allineata e trincerata per anni la Germania dell’industria e delle banche, ma anche dei governi del nord, olandesi in testa, che nel ministro del rigore individuavano l'indispensabile baluardo contro la dissipatezza dei “Pigs”, sprezzante acronimo – “pigs” in inglese sta per maiali – a designare Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna (ma quella “i”, a seconda delle circostanze, valeva anche per l’Italia): un crimine etico che il falco Schäuble sognava di far pagare a tutti i membri della Ue che brillavano per leggerezza nei conti pubblici e appesantivano la crescita economica.
I suoi ripetuti “nein!” avevano oscurato la fama dei leggendari “nyet!” del sovietico Andrej Gromyko, fino a eleggerlo campione di una Germania senza cuore in pieno contrasto con la Bce guidata da Mario Draghi. Così era Schäuble. Capo della cancelleria di Helmut Kohl, grande negoziatore della riunificazione, ministro delle Finanze di Angela Merkel, capogruppo della Cdu/Csu al Bundestag e infine presidente del Parlamento federale tedesco. Ma soprattutto, Der Falke, il falco.
Uno dei padri del Patto di stabilità e di crescita e insieme il miglior esecutore della dottrina dei “compiti a casa”, cara alla sua grande protettrice, Angela Merkel. E pazienza se la tenaglia della troika – il trio di austeri censori che trascinavano la Grecia in catene come i carabinieri di Pinocchio – strangolava l’economia ellenica fino a produrre una macelleria sociale dalla quale si è ripresa in parte solo oggi.
«Non avrei mai voluto essere obbligato a imporre misure simili in nome della Germania», si schermì all’epoca il ministro. In realtà Schäuble sapeva fin troppo bene che - come insegna il paradosso di Zenone - la crescita economica di un Paese, per quanto fosse veloce e irruenta come Achille, non sarebbe mai riuscita a ripagare gli interessi sul debito: la piccola tartaruga del debito sarebbe stata sempre un passo avanti. Per questo i socialdemocratici europei lo definivano “un bad guy che fomenta rivolte”.
È molto probabile che Schäuble per primo soffrisse delle conseguenze del suo rigore. Nondimeno non indietreggiò mai dalle proprie convinzioni: l’ordoliberalismo sul quale si era formato in gioventù era nemico giurato dello statalismo, del paternalismo e dell’irresponsabilità, sia individuale che collettiva. Negli ultimi anni, in piena consonanza con la Merkeldämmerung, il crepuscolo della donna più potente del continente, si compiva anche l’ultimo atto dello Schäuble-pensiero, la cui usura nei tempi correnti è più che mai evidente. Chiamiamola eterogenesi dei fini, o più semplicemente una nemesi beffarda, ma proprio quella Schuldenbremse (letteralmente “freno all’indebitamento”) che aveva promosso e difeso con pervicace convinzione fino a far approvare per i Paesi dell’Eurozona la riduzione graduale nell'arco di vent’anni del rapporto debito-Pil entro il 60%, si ritorce oggi sul suo epigono socialdemocratico, il cancelliere Scholz. Al quale quell’eredità costerà molto cara.