«Il dato italiano è ancora in crescita, ma solo apparentemente positivo. Noi continuiamo a ribadire che siamo di fronte ad un mercato dopato...». È a dir poco scettico di fronte ai dati diffusi oggi dal Ministero dei Trasporti, il parere di Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto, l’associazione che rappresenta 3.200 concessionari italiani di autovetture, veicoli commerciali, industriali e autobus. In base alle rilevazioni, il mercato a luglio è cresciuto ancora (+14,5%), e per il quattordicesimo mese consecutivo vanta il segno positivo davanti alla percentuale di immatricolazioni (131. 489) rispetto al medesimo periodo di un anno fa.
«Ma le cifre vanno lette ed interpretate», spiega Pavan Bernacchi, perchè anche a fronte di un’innegabile leggera ripresa degli acquisti dei privati (e dunque delle famiglie), «il dato complessivo risente in maniera determinante della crescita dei noleggi – anche per Expo e altrettanto è prevedibile che accada per il prossimo Giubileo - e soprattutto dagli sconti e delle campagne promozionali massicciamente messe in campo dalle Case costruttrici e dai concessionari che per vendere hanno rinunciato alla loro marginalità. Iniziative estemporanee, queste, destinate ad esaurirsi perché troppo onerose».
Oggi in effetti, solo per fare un esempio, sulle vetture ecologiche bi-fuel quasi tutti i marchi offrono una riduzione del prezzo rispetto al listino del 20%, con uno sconto medio di 4.000 euro, con punte di 7.000. Quindi, malgrado i dati, non è il caso di festeggiare...
«Non direi, visto che la crescita rispecchia un mercato di sostituzione fisiologica di un parco circolante tra i più anziani d’Europa. Se il 2015 confermerà il trend di crescita attuale, l’anno si chiuderà a circa 1.500.000 auto immatricolate, registrando un +15%. Cifra però che ci riporti indietro di 35 anni: era il 1980 quando l’Italia esprimeva questi numeri. Quindi siamo davvero in un contesto fuori dal tempo e dalle esigenze attuali».
Quali sono allora i numeri reali sui quali ragionare?
«Quelli che certificano che negli ultimi 7 anni il comparto ha perso quasi il 50% delle immatricolazioni, con un crollo della domanda dei privati (-53%) e una forte contrazione del numero degli occupati. In questo quadro di forte crisi, l’unica risposta istituzionale degli ultimi Governi è stata quella dell’aumento della tassazione sugli autoveicoli: nel solo 2014 lo Stato ha incassato 71,6 miliardi di euro con una crescita negli ultimi 8 anni dell’1,7%. Tutto ciò ha determinato una perdita di posti di lavoro nel mondo della sola distribuzione di 20mila addetti. Una cifra che sale a oltre 200mila considerando anche le case automobilistiche, le officine, i fornitori e l’indotto allargato: 20 volte in più rispetto al dramma occupazionale dell’Ilva di Taranto. Ma nel totale disinteresse generale».
Per quale ordine di motivi?
«Primo perchè la crisi non è localizzata, ma diluita in tutto il Paese. Quindi fa meno notizia e non crea allarme sociale. Secondo perchè chi beneficia degli ammortizzatori sociali è considerato “occupato”. Eppure su 120 mila persone impiegate nel settore auto, oggi solo 930 mila sono attive. Le restanti 270 mila sono state licenziate o sono oggetto di aiuti statali. Ciononostante il settore vale ancora l’11% del Pil, e partecipa alle entrate fiscali per il 16%».
Insomma, l’auto continua a dare molto e a ricevere nulla…
«Questo è il problema. Noi non chiediamo incentivi ma continuiamo a segnalare la necessità di ridisegnare la mobilità, per stimolare il rinnovo del parco circolante italiano, che oggi conta quasi 11 milioni di autovetture altamente inquinanti e riportare il mercato a un livello di sostenibilità per l’intera filiera. Serve una riforma fiscale per poter passare da una ripresa congiunturale ad una strutturale, in grado di garantire un’effettiva stabilità. Per questo i concessionari italiani non si stancheranno di chiedere al Governo quelle misure necessarie a risvegliare una domanda ancora latente: Iva agevolata, deduzioni e detrazioni, eliminazione del super bollo».
La proposta di Federauto è dettagliata ma favorirebbe davvero il rilancio a costo zero per lo Stato?
«L’abbiamo ribadita pochi giorni fa alla Commissione Industria del Senato. Prevede un’aliquota Iva agevolata per i privati, con beneficio decrescente, e potrebbe generare in un triennio 756mila immatricolazioni aggiuntive, mentre il credito o deduzione d’imposta innescherebbe un’ulteriore domanda di 210mila vetture delle partite Iva. Il tutto sostenuto dalle conseguenti maggiori entrate fiscali e il minor ricorso a misure quali gli ammortizzatori sociali».
Risultato: tante tavole rotonde ma risposte zero, almeno sinora. E l’impressione diffusa che manchi una strategia a riguardo.
«Esattamente. L’attenzione dei politici c’è ma non si vuol capire che il mondo auto non si esaurisce con la produzione. C’è una filiera distributiva da difendere e un’esigenza di mobilità insopprimibile, visto che l’auto in Italia resta il fulcro della mobilità, sia per la connotazione geografica del Paese sia per la sostanziale carenza dei mezzi pubblici. La realtà è questa e occorre conviverci. Invece continuiamo solo a sentirci dire di pensare positivo».
Intanto le concessionarie chiudono. Dal 2002 ad oggi sono scomparse quasi il 45% delle ragioni sociali, con una riduzione dei punti vendita che, secondo le stime, nel 2017 toccherà il 71%...
«Le sottopongo un dato che vale solo a titolo esemplificativo, e che risente di variazioni enormi tra marchi e modelli, ma oggi il margine medio di guadagno per un concessionario su ogni autovettura nuova venduta è di 20 euro lorde. Un margine completamente fuori dalla media europea e che non è più adeguatamente supportato dal post-vendita a causa della concorrenza sleale delle officine non autorizzate che lavorano spesso in nero e utilizzano ricambi non originali».
Altrove invece l’automobile è al centro di una programmazione ben diversa…
«L’esempio più eclatante è quello degli Emirati Arabi, dove si stanno ristrutturando tutti i parcheggi pubblici con piastre di ricarica ad induzione. Un sistema che oggi nemmeno esiste, ma pensato già per essere pronti nel 2030».