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Da un lato i dati, pessimi, sulla creazione di nuovi posti di lavoro a ottobre, dall’altro la grande volatilità dei mercati, affossati giovedì dai titoli di alcuni pesi massimi del Big Tech come Microsoft e Meta, soprattutto per i risvolti della corsa all’intelligenza artificiale, e in risalita ieri sull’attesa di un nuovo taglio dei tassi da parte della Fed. Sull’America che va al voto per le presidenziali martedì prossimo pesa e peserà fino all’ultimo come un macigno l’evoluzione dello scenario economico, prima preoccupazione di un elettorato che rischia di non riconoscere nell’urna, ai democratici, alcun dividendo di un aumento del Pil stimato al +2,8%. Perché non solo i prezzi dei beni di prima necessità sono aumentati più di un’inflazione scesa ormai intorno al 2%, ma anche perché un’economia che corre senza creare lavoro rischia solo di alimentare disuguaglianze e mugugni nella classe media, in quello che è già il Paese più diseguale del mondo sviluppato.
Il dato diffuso ieri dalle autorità sugli appena 12mila posti di lavoro creati a ottobre è inequivocabilmente il peggiore dell’era Biden e certo non un buon viatico per il rush finale della campagna di Kamala Harris. Gli analisti si aspettavano un dato intorno ai 110mila posti di lavoro, già una stima deficitaria e dimezzata rispetto al dato di settembre: ne sono arrivati circa un decimo, nonostante un tasso di disoccupazione che resta di poco superiore al 4 per cento. I democratici parlano di un rallentamento temporaneo, di un effetto combinato di scioperi e uragani. E lo stesso Biden, nel tentativo di difendere da un lato il lavoro svolto in questi anni e di non azzoppare la corsa di Harris dall’altro, si dice sicuro che la corsa dei posti di lavoro «riprenderà a novembre» e che «l’economia americana resta forte».
Quel che conta, però, agli sgoccioli di una campagna elettorale in cui gli elettori voteranno, ora come sempre, pensando al proprio portafogli, è il qui e ora, con un Donald Trump che ha gioco facile a parlare, senza mezzi termini, di «catastrofe». «In un solo mese l’agenda fallimentare di Kamala per l’economia ha spazzato via quasi 30.000 posti nel settore privato e quasi 50.000 in quello manifatturiero», ha maramaldeggiato il repubblicano. Perché ci sono numeri che pesano più di altri, a livello di percezione pubblica. E quello sul lavoro, accanto a quello dei prezzi dei beni di prima necessità, nell’America delle supposte opportunità, schiaccia il dibattito più degli altri.
Influisce, sulla giostra impazzita delle analisi delle ultime ore, anche l’andamento dei mercati, a pochi giorni da un possibile nuovo taglio del costo del denaro da 25 punti base da parte della Fed, con i tassi di interesse che oggi si attestano tra il 4,75 e il 5 per cento. Giovedì è stata Big Tech ad affondare Wall Street, con le trimestrali di Microsoft e Meta che non hanno convinto gli investitori e alimentato i timori sulla corsa senza freni all’intelligenza artificiale. I listini Usa hanno bruciato i guadagni del mese di ottobre, con il Nasdaq giù di oltre il 2 per cento. Ieri la risalita, in apertura, oltre l’1 per cento, con l’indice della volatilità su livelli comunque doppi rispetto a sei mesi fa.
Secondo diversi analisti, gli investitori temono che la corsa all’IA si sia spinta troppo in avanti: agli investimenti miliardari, infatti, non corrispondono ancora risultati tangibili in termini di ricavi. Stando al Financial Times, i quattro colossi di Big Tech – Amazon, Microsoft, Meta e Google – spenderanno quest’anno 200 miliardi di dollari per l’Intelligenza artificiale, una cifra record che potrebbe salire ulteriormente nel 2025, con le spese per i centri dati che rappresenteranno l’80% del totale.
Qualche assicurazione è venuta invece ieri da Apple e Amazon, che archiviano un trimestre sopra le attese. Spinta dall’iPhone, Apple ha realizzato nel quarto trimestre dell’esercizio fiscale ricavi record a 94,9 miliardi di dollari, mentre l’utile è sceso del 35% a 14,7 miliardi a causa del pagamento della maxi sanzione per le tasse in Europa. I ricavi dall’iPhone sono saliti del 5,5 per cento a 46,22 miliardi, circa la metà del totale, segnalando un netto cambio di rotta rispetto alla debolezza dei primi sei mesi dell’anno. Amazon, da parte sua, ha chiuso il terzo trimestre con una solida crescita dell’utile e dei ricavi grazie alla domanda per i servizi di cloud computing. I ricavi sono saliti dell’11 per cento a 158,9 miliardi, con Amazon Web Services cresciuta del 19 per cento a 27,45 miliardi. L’utile netto è salito a 15,3 miliardi rispetto ai 9,9 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno.
Big Tech, insomma, non regala certezze univoche alla vigilia delle presidenziali, mentre l’indice Ism, che monitora la manifattura negli Stati Uniti, è sceso in ottobre a 46,5, ai minimi dal luglio 2023. Un dato che – parallelamente a quello sulla creazione di nuovi posti di lavoro – resta sotto le attese degli analisti che scommettevano su 47,6. Si citano, ancora, gli uragani e gli scioperi, come quello di Boeing su cui ora i democratici intravedono una insperata schiarita. Ma Harris deve sperare, evidentemente, che non sia già troppo tardi.