Nel nostro Paese il lavoro irregolare e il lavoro nero rappresentano da sempre una piaga che infetta l’economia e la capacità di tenuta e di sviluppo del sistema. In particolare il comparto domestico, entro il quale si riscontrano i più alti tassi di lavoro sommerso, persino più alti che nel settore edile e agricolo: oggi si ipotizza un’incidenza del sommerso pari al 62% del totale di un milione 655mila collaboratori domestici (dati Censis e Acli-Colf), ossia quasi 1.026.100 collaboratori. Ma il dato potrebbe essere perfino peggiore, vista la quasi impossibilità di monitorare i lavoratori domestici. Questo comporta una perdita per lo Stato di circa due miliardi e 700 milioni l’anno per quanto riguarda il mancato pagamento dell’Irpef da parte di questi lavoratori, a cui si deve aggiungere la perdita in termini di mancati contributi pagati dai datori di lavoro.
"Con una riforma da 1,9 miliardi di euro - spiega Paola Diana, imprenditrice e presidente dell'associazione Parimerito - si produrrebbero
entrate pari a otto miliardi. Non c’è un investimento più
produttivo al mondo. Senza contare l’enorme beneficio che deriverebbe al
nostro Paese con l’aumento del tasso di natalità, che è strettamente
correlato all’aumento del tasso di occupazione femminile. È necessario
avere una visione di lungo periodo e questa non si può non averla senza
tener conto del maggior fattore di cambiamento di questo secolo: le donne".Paola conosce molto bene le potenzialità e le problematiche dei lavori domestici. Con la sua agenzia Nanny & Butler,
con sede a Roma e a Londra, infatti, è impegnata nella ricerca di
tate professioniste, puericultrici, maggiordomi, domestici, cuochi, colf e assistenti per anziani/badanti. Facendo un confronto tra il nostro Paese e gli Stati europei, si rende conto di quanto sia difficile riuscire a portare avanti quest’attività in Italia. Un aspetto del mondo delle professioni, questo, che è ancora poco considerato nel nostro Paese e che viene spesso sottovalutato. I dati raccolti dall’Osservatorio Tate di Roma, tra l'altro, rilevano, per il mondo di badanti e colf, una crescente offerta di lavoro che non riesce a essere soddisfatta."Questa semplice, ma innovativa norma tributaria - continua l'imprenditrice - può innescare un processo virtuoso e agire da moltiplicatore creando una serie di effetti favorevoli alla crescita del Paese. Si configura come una norma a favore delle donne al fine esplicito di offrire un forte incentivo alla loro entrata o permanenza nel mercato del lavoro. Questa azione si ritiene necessaria visto il bassissimo livello di occupazione femminile che ci vede fanalino di coda dell’Europa, primi solo a Malta e alla Grecia". La norma prevede l’innesco di un forte conflitto di interessi di natura fiscale che porterà per forza di cose all’emersione di gran parte del lavoro sommerso nel comparto domestico, settore a fortissima elusione ed evasione fiscale. Questo processo contrasterà anche l’elusione e l’evasione fiscale da parte delle donne interessate a godere dei benefici di questa norma, poiché dovranno dichiarare redditi compatibili con questa voce di spesa. Le donne che oggi lasciano il lavoro dopo la nascita dei figli saranno incentivate a rimanere al lavoro, sapendo che possono scaricare quasi interamente il costo del servizio di cura affidato alla collaboratrice domestica. Questo processo logico varrà anche per le donne che oggi non sanno a chi affidare gli anziani non autosufficienti. Una volta stimolata la crescita dell’occupazione femminile, questa genererà maggiori consumi e maggiori entrate per lo Stato, in termini di fiscalità e contributi previdenziali. Se il tasso di occupazione femminile salisse dall'attuale 47% al 60%, secondo stime della Banca d'Italia il Pil aumenterebbe del 7%. "Un secondo effetto, molto importante - sottolinea Paola Diana - sarà l’aumento della fecondità e della natalità, nel lungo periodo, aumenti indispensabili per la crescita e la sostenibilità di un Paese fra i più vecchi del mondo, come è il nostro. Numerosi studi internazionali, nonché le statistiche stesse, ritengono infatti correlati, in modo diretto, il maggior tasso di occupazione femminile e l’aumento della natalità. Una maggiore indipendenza economica implica una capacità
di progettualità e una conseguente volontà di creare nuclei familiari senza lo spettro della povertà. L'economia al femminile genera veri e propri moltiplicatori che producono effetti di crescita nel settore dei consumi, dei servizi, degli investimenti e dell’innovazione, contribuendo allo sviluppo dell’intero sistema economico. Per ogni 100 donne che entrano nel mercato del lavoro si possono creare fino a 15 posti aggiuntivi nel settore dei servizi". Da non dimenticare, infine, i risvolti sociali di un aumento progressivo dell’occupazione femminile: donne indipendenti economicamente e con un ruolo sociale sono meno a rischio povertà, sono più realizzate e godono di un benessere più diffuso che trasmettono ai loro figli, contribuendo a creare una società migliore. Questo processo farebbe da argine a quelle che oggi sono definite le 'nuove povertà', ossia quel fenomeno che, fra gli altri, vede coppie di giovani disoccupati soffrire di privazioni economiche tali da dover tornare a vivere con i genitori, gravando sulle loro spalle e perfino sulle pensioni dei nonni. "Il progetto di legge
Bonus care - conclude l'imprenditrice - andrebbe a incidere favorevolmente su quella classe media oggi maggiormente colpita ed erosa dalla crisi e andrebbe ad agire direttamente sulle donne, favorendo di riflesso interi nuclei familiari e la società nel suo insieme. Se si possono detrarre le spese di ristrutturazione per la casa, non sarà forse arrivato il momento di permettere la detrazione dei costi di gestione delle case e dei nuclei familiari a coloro su cui grava da sempre questo onere?".