martedì 20 agosto 2024
Le imprese, d’intesa con le organizzazioni sindacali, devono predisporre le condizioni ambientali, organizzative, di orario e di sicurezza per renderlo possibile
Il coinvolgimento dei lavoratori anziani o in pensione potrebbe essere utile alle aziende

Il coinvolgimento dei lavoratori anziani o in pensione potrebbe essere utile alle aziende - Archivio

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In un'Italia che invecchia farebbe comodo "servirsi" dell'esperienza dei lavoratori anziani. Potrebbe essere utile un impegno in attività sociali e di volontariato, nonché il tutoraggio e la cura di altre fasce di età all’interno delle famiglie e nell’associazionismo o la partecipazione ad attività di lavoro dipendente o autonomo. Da ormai un decennio, l'Italia si trova ad affrontare una lenta, ma costante crisi demografica. Tuttavia le conseguenze iniziano a vedersi ora e saranno ancora più evidenti nei prossimi anni. Un rapporto di Area Studi Legacoop e Prometeia rivela che il sistema produttivo italiano perde circa 150mila lavoratori e li perderà almeno fino al 2030. Un campanello d'allarme, mentre il Paese si avvicina al punto di non ritorno. Intervenire con politiche che incentivino la natalità, il welfare aziendale e migliorino le competenze dei giovani è ormai indispensabile. Questi ragionamenti valgono soprattutto per i settori più esposti alle conseguenze della crisi demografica, che significa non solo culle sempre più vuote, ma anche popolazione sempre più anziana.

Il declino demografico italiano è radicato in un lungo periodo di basse nascite e in un aumento dell'età media della popolazione. Anche se è diventato preoccupante solo negli anni Duemila, il tasso di natalità è iniziato a scendere già dal 1980. Da quell'anno al 2022, le nascite si sono più che dimezzate passando da 800mila nuovi nati a meno di 400mila. La crisi è accentuata dal fatto che la generazione dei baby boomer, nata negli anni '60 e ora in fase di pensionamento, è di gran lunga più numerosa rispetto ai giovani che entrano nel mercato del lavoro e reggono il sistema pensionistico. D’altra parte le ricerche mostrano come una attività lavorativa in condizioni appropriate (ergonomiche, di orario, di ambiente) che tengano conto delle condizioni degli anziani, contribuisca all’invecchiamento attivo e in buona salute; oltre a essere utile per la economia del Paese, anche ma non solo per compensare la drammatica crisi di natalità. Inoltre oggi più che mai la partecipazione e l'esperienza dei lavoratori maturi sono fondamentali non solo per trasmettere competenze preziose alle giovani generazioni, ma anche per supplire alla carenza di molte professionalità disponibili sul mercato.

E siccome la matematica non è un'opinione, il ministro dell'Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti ha ribadito in Parlamento: «Parliamo molto spesso in questa aula di pensioni, sarebbe il caso di cominciare a parlare di quello che è il trend demografico del Paese: nessun sistema pensionistico è sostenibile in un quadro demografico come quello attuale». Parole che il titolare del Mef aveva pronunciato quasi identiche già un anno fa. La perdita annuale di 150mila lavoratori è amplificata dalle uscite pensionistiche, che hanno raggiunto le 600mila all'anno, mentre le nuove assunzioni si fermano a circa 450mila. Il trend è semplice quanto devastante per l'economia italiana: più è alta l'età media della popolazione, più sono anziani i lavoratori. Di conseguenza c'è un sostenuto numero di pensionati che non riusciamo a rimpiazzare con le nuove generazioni. Per questo, il governo Meloni ha fortemente disincentivato l'uscita anticipata dal lavoro e, a guardare i dati Inps, l'obiettivo è stato raggiunto. L'introduzione di Quota 130 ha avuto un impatto evidente sulle scelte degli italiani. Nei primi sei mesi del 2024, l'Istituto ha registrato un calo del 14,15% nelle pensioni anticipate rispetto allo stesso periodo del 2023, con soli 99.707 nuovi assegni erogati contro i 116.143 dell'anno precedente.

Secondo uno studio di Intesa Sanpaolo che ha rielaborato le proiezioni contenute nei dati dell’Ageing Report 2024 della
Commissione Europea
, l’Italia è l’unico Paese dei quattro maggiori dell'Ue che vedrà una contrazione della popolazione da
qui al 2070 e l’invecchiamento della popolazione italiana peserà sia sul Pil potenziale sia sulla spesa pubblica per la previdenza, la sanità e l’assistenza a lungo termine. La spesa pubblica è destinata a crescere, raggiungendo un picco del 28,3% del Pil tra il 2036 e il 2040. Tuttavia, si prevede anche una riduzione della spesa pensionistica nel lungo termine, dovuta a due fattori. In primis, un abbassamento del tasso di copertura (rapporto tra numero di pensionati e popolazione over 65), che riduce la spesa pensionistica del -3%, grazie alla graduale crescita dell’età effettiva di pensionamento. In secondo luogo, a incidere sulla spesa pensionistica
c’è la riduzione del tasso di beneficio, ovvero del rapporto tra l’importo della pensione media e il livello medio nazionale dei salari
orari, che dovrebbe dare un contributo negativo di -3,8%, grazie al venir meno del sistema retributivo.


Un modello teorico a favore dell'invecchiamento attivo

A causa del perdurante invecchiamento della popolazione, nel 2050 in Italia sarà disponibile solo il 12% della forza lavoro contro il 20% odierno e rispetto al 27% degli anni 1980. In ragione di ciò nel nostro Paese nei prossimi decenni non potranno più sussistere - causa l’assenza di addetti - alcune attività di carattere produttivo che oggi caratterizzano ancora la nostra economia. Il deficit tra fabbisogno occupazionale e risorse umane disponibili nel 2050 sarà il seguente: Industria metalmeccanica e di trasformazione 18%; Industria dell’allevamento e dell’agricoltura 35%; Edilizia e costruzioni 45%; Alimentare e conserviero 15%; Sanitario e servizi alla persona 12%. «Il nostro modello - spiega Luigi Pastorelli, fondatore del Gruppo Schult'z - evidenzia che in questo contesto di perdurante invecchiamento della popolazione anche l’attuale tasso di immigrazione o un suo auspicabile aumento non ridurrebbe significativamente il dato sopra evidenziato, in ragione del fatto che altri contesti economici più attraenti a livello europeo determinerebbero che la residua immigrazione proveniente da quei Paesi, che al contrario stanno impostando la loro economia su trend di elevata popolazione giovanile, riterrebbe più interessante per condizioni economiche e di status giuridico non scegliere il nostro Paese». Il modello indica che l'Italia è destinata a perdere il suo attuale ruolo predominante di economia di trasformazione di materie prime e di primaria industria manifatturiera. «Questo tsunami sociale - aggiunge Pastorelli - determinerà dal punto di vista economico la perdita del 5% sul Pil e soprattutto la perdita di cinque milioni di posti di lavoro nei suddetti settori tradizionali e maturi, con tutto quello che ne conseguirà in termini di tenuta del nostro sistema di welfare e di carattere pensionistico, che dovrebbe inevitabilmente affrontare una ristrutturazione con inevitabile innalzamento dell’età pensionabile ai 75 anni e un profondo ridimensionamento del budget economico destinato alla sanità nell’ordine del 25% e una revisione dell’assistenza sanitaria che non potrebbe più essere data indistintamente a tutti i cittadini, ma i suddetti dovrebbero affrontare inevitabilmente l’adozione di un sistema misto pubblico e privato». Il modello suggerito dal Gruppo Schult'z indica che dobbiamo «superare la visione sacrale che considera un certo approccio al lavoro come supporto unico e necessario del legame sociale, per giungere ad attività che siano sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale, un'attività produttiva che abbandoni totalmente il concetto di sito produttivo, per arrivare a quello di reticolo d’area produttivo».

La responsabilità delle imprese

La responsabilità per favorire l’invecchiamento attivo nel lavoro spetta in primo luogo alle imprese, anche d’intesa con le organizzazioni sindacali, che devono predisporre le condizioni ambientali, organizzative, di orario, di sicurezza per renderlo possibile. Ma questo non esclude la necessità di interventi normativi e di politica del lavoro finalizzati a promuovere lo stesso obiettivo. Sono anni che le ricerche europee e la documentazione della Ue raccolgono sia le buone pratiche aziendali sia le normative in materia e ne segnalano l'utilità per promuovere l’invecchiamento attivo anche nel lavoro. C’è da augurarsi che la conoscenza di queste buone pratiche si diffonda e che induca il nostro legislatore a occuparsi del tema anche con una legge ad hoc. Serviranno, però, campagne istituzionali di comunicazione e sensibilizzazione in materia di stile di vita sano e attivo, di prevenzione sanitaria e di sicurezza dell’ambiente domestico. Campagne così finalizzate hanno grande importanza, ed è positivo che siano promosse dalle istituzioni e dalle parti sociali, perché è ampiamente riconosciuto che adottare un simile stile di vita contribuisce positivamente alla qualità dell’invecchiamento, alla salute delle persone e quindi anche alla loro capacità di essere attivi nel lavoro. Ne è conferma il fatto che iniziative di vario genere per la promozione di stili di vita attiva sono presenti in molte aziende e sono inserite fra le misure di welfare da queste adottate, favorite dalle agevolazioni fiscali e contributive normalmente previste. Per quanto riguarda l'occupazione degli anziani, bisogna porre molta attenzione alle disposizioni di principio e ai richiami normativi in materia di sicurezza sul lavoro e di lavoro agile. Mentre il datore di lavoro dovrebbe adottare ogni iniziativa diretta a favorire le persone anziane nello svolgimento anche parziale della prestazione lavorativa in modalità agile nel rispetto della disciplina dei contratti collettivi nazionali di settore applicabili. In realtà le indagini riscontrano un’attenzione modesta della contrattazione, anche decentrata, nei confronti dei “lavoratori maturi”. Con questo termine ci si riferisce agli over 50 o 55 anni, mentre non si fa cenno agli over 65. Qualche contratto collettivo nazionale si occupa di aspetti specifici, per esempio di come limitare le possibilità di trasferimento di questi lavoratori e dare precedenza alla stabilizzazione dei loro rapporti a termine. Alcuni contratti di grandi aziende hanno indicazioni più generali: impegno a promuovere pratiche positive di age management, a favorire l’integrazione fra generazioni e il ricambio generazionale, anche con scambio di esperienze e tutoraggio, nonché l’agevolazione del part time per over 55. Da segnalare le attività di formazione in favore delle persone anziane, in particolare per le competenze digitali e di supporto nell’utilizzo dei servizi in via digitale delle pubbliche amministrazioni. L’urgenza di promuovere l’alfabetizzazione informatica è sottolineata espressamente dall’Action Plan europeo attuati o del Pillar of Social Rights che pone l’obiettivo di raggiungere l’ 80% della popolazione, compresi gli anziani. Non mancano iniziative delle imprese che investono con successo sulle competenze e sulla formazione dei lavoratori senior. Diffondere pratiche simili di formazione sul lavoro, lungo tutto il corso della vita, costituisce una responsabilità non solo delle aziende, ma anche delle istituzioni pubbliche. Questo perché si tratta di un compito essenziale per mettere i lavoratori in grado di seguire le sempre più rapide evoluzioni dei mestieri e di acquisire le conoscenze necessarie per svolgere efficacemente i propri compiti. In realtà accrescere e aggiornare le proprie conoscenze è necessario per le persone di ogni età, al fine di sapersi meglio orizzontare e vivere nella attuale complessità sociale.


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