«Non drammatizziamo. Se si guarda il lungo periodo, piuttosto che soffermarsi sul dato mensile, si vede come il bicchiere in realtà sia mezzo pieno. Da gennaio a giugno, rispetto al primo semestre 2015, si registra un +0,8%. Ecco perché non si può assolutamente dire che la ripresa italiana si sia fermata».
Alberto Quadrio Curzio è convinto che la seppur lenta risalita dell’economia nazionale non abbia subito una brusca frenata alla luce dell’inatteso calo di giugno della produzione industriale. «Inoltre va tenuto presente – sottolinea l’economista – che questa performance negativa è arrivata in un momento particolarmente complicato, con il referendum sulla Brexit e le turbolenze dei mercati finanziari legate alle questioni bancarie».
Professore, su cosa si basa il suo ottimismo?A mio avviso le due variabili economiche principali per vedere se la crescita di un Paese è ripartita davvero sono gli investimenti e l’occupazione. Sul primo indicatore l’aumento del 3,5% dei beni strumentali (come i macchinari) nel primo semestre dell’anno è un segnale incoraggiante, in quanto segnala un risveglio di quella capacità produttiva che è stata colpita duramente negli anni della crisi. Poi i dati sul mercato del lavoro indicano una crescita progressiva di occupati che può avere effetti benefici sulla fiducia e sui consumi.
Non si rischia di rivedere al ribasso la stima di crescita dell’1,2% per il 2016 contenuta nel Def di aprile?C’è chi ipotizza un +0,7% o al massimo +0,8% a fine anno. Io invece mi aspetto un Pil attorno all’1%, se non leggermente più alto. E nel medio termine non credo che la crescita italiana subirà forti contraccolpi dalla Brexit, al contrario della Germania.
Non vede nubi all’orizzonte?Più del rallentamento di giugno della produzione industriale mi preoccupa questa forte turbolenza in Borsa per i titoli delle banche e senza una ragione specifica, visto il verdetto positivo degli stress test dell’Eba. Altro fattore di potenziale instabilità è una
governance dell’Unione europea che rimane piuttosto ballerina.
Non si rischiano ripercussioni sui conti?Nelle recenti previsioni del Fondo monetario internazionale si indicava un deficit del 2,4%, sostanzialmente in linea con le stime del Tesoro. In aggiunta credo ci siano margini per ottenere flessibilità dall’Europa vista la notevole saggezza mostrata dalla Commissione Ue nei casi dei deficit di Spagna e Portogallo.
Che sia all’1% o allo 0,7%, la crescita italiana resterebbe comunque piuttosto debole. Quali interventi servirebbero per renderla più tonica?La direzione che vuole intraprendere il governo mi sembra quella giusta. Con il progetto Industria 4.0, la cui presentazione in programma ieri è slittata a dopo l’estate, dovrebbe realizzarsi un intervento per apportare un ammodernamento innovativo all’apparato industriale nazionale. Del resto, servono investimenti sulla banda larga e la robotizzazione, sulla scia della politica che la Germania ha già iniziato con discreto successo da alcuni anni.