Aziende più attente all'inclusione dei disabili - Intesa Sanpaolo
Su una popolazione di circa tre milioni di persone con gravi disabilità solo il 33,5% (nella fascia d’età 15-64 anni) risulta occupata, contro il 60,2% delle persone senza limitazioni (fonte Istat). Un dato preoccupante anche se, nel confronto internazionale, l’Italia si distingue positivamente per la sua maggiore capacità inclusiva nei confronti delle persone con disabilità meno gravi. Secondo Eurostat, infatti, è il Paese con il gap più basso d’Europa: il tasso di disoccupazione di chi ha disabilità non gravi è del 11,8% contro una media Ue del 17,3%. Facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro di persone con disabilità in stato di disoccupazione o di esclusione sociale, rafforzando e condividendo buone prassi. È l’obiettivo che si sono posti il Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro e l’Associazione nazionale di famiglie e persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo (Anffas nazionale Aps) firmando un accordo che mira a garantire alle persone con disabilità il pieno accesso alle opportunità lavorative e l’inserimento al lavoro, nel rispetto delle loro competenze specifiche. Le parti si sono impegnate a diffondere e implementare gli strumenti - come l’assegno di inclusione e il supporto per la formazione e il lavoro - e le politiche di contrasto all’emarginazione e a sostegno delle fasce sociali più deboli e a maggior rischio di marginalizzazione sociale, con particolare riferimento alle persone con disabilità e alle loro famiglie, anche al fine di individuare ulteriori forme di assistenza e di interlocuzione istituzionale. In particolare, il Consiglio nazionale dell'Ordine, per il tramite della Fondazione consulenti per il lavoro, farà conoscere le opportunità legate all’assunzione delle persone con disabilità, fornendo formazione specifica alle aziende e ai consulenti che operano nei territori, affinché diventino l’anello di congiunzione tra chi cerca e offre lavoro.
Anffas nazionale Aps, invece, individuerà le persone con disabilità e le persone in condizione di emarginazione sociale ed economica da accompagnare nel percorso di inserimento lavorativo e promuoverà l’iniziativa in tutte le sue sedi in Italia, offrendo supporto agli enti aderenti per l’avvio del progetto a livello locale. Sebbene nell’ultimo decennio la quota di persone con disabilità che cercano o hanno un’occupazione sia passata dal 43,7% al 52,2%, grazie alla combinazione di politiche nazionali e regionali efficaci e di una cultura più inclusiva delle imprese, l’ingresso al lavoro per questi cittadini resta ancora critico.
«Purtroppo sono ancora troppo poche le persone con disabilità che riescono a trovare un’occupazione. Ma l’attenzione verso il fenomeno c’è, come dimostrano gli obiettivi posti alla base della riforma della disabilità e gli incentivi occupazionali introdotti nel Terzo settore - spiega il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine Rosario De Luca -. Occorre, però, intensificare l’opera di sensibilizzazione per contrastare discriminazioni e garantire pari opportunità, ad esempio incentivando l’adozione di pratiche inclusive nelle aziende e potenziando percorsi formativi e di accompagnamento al lavoro. Lo scopo deve essere quello di valorizzare le abilità di ogni persona, senza distinzioni. Solo così potremo garantire un vero cambiamento».
«Lavorare è per ogni cittadino un diritto-dovere e questo vale anche per le persone con disabilità, cittadini al pari degli altri - afferma Roberto Speziale, presidente nazionale Anffas -. Purtroppo ancora oggi, nonostante si tratti di un diritto sancito sia dalla nostra Costituzione che dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, il lavoro è un miraggio per molte persone con disabilità ed in particolare per le persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo, frequentemente vittime di pregiudizi e stereotipi legati alle loro capacità. Invece sono proprio loro a chiedere a gran voce un lavoro vero al fine di essere cittadini attivi e poter dare il proprio contributo alla società come tutti. Con questa nuova iniziativa poniamo un altro tassello importante per il contrasto di tali discriminazioni e per promuovere una nuova consapevolezza circa le potenzialità di tutte le persone con disabilità in ambito lavorativo».
Da ostacolo a opportunità
Oggi la disabilità nei luoghi di lavoro non è più vissuta solo come un obbligo di legge e un dovere sociale, ma adottando gli accorgimenti e gli strumenti adeguati, può rivelarsi un’occasione di crescita organizzativa per le imprese italiane. È quanto emerge dalla ricerca Persone con disabilità e lavoro: oltre le barriere - Dati e storie di inclusione lavorativa in Italia promossa da Fondazione Italiana Accenture Ets insieme con Accenture, in partnership con Sda Bocconi School of Management e in collaborazione con Politecnico di Milano, Tiresia, Fondazione Politecnico di Milano e Free Thinking. Secondo i dati del ministero del Lavoro, prima della pandemia l’inserimento delle persone con disabilità era in lento, ma graduale miglioramento. Questa situazione in evoluzione ha reso necessario avviare una riflessione sul modo in cui la disabilità viene oggi percepita dalle imprese italiane.
La ricerca nasce proprio con l’intento di far luce sullo stato attuale dell’inclusione lavorativa in Italia delle persone con disabilità e si interroga sul modo in cui si pongono le imprese rispetto al loro inserimento e quali difficoltà stanno riscontrando.Attraverso una indagine quantitativa su 100 realtà coinvolte, un’analisi qualitativa di tre casi aziendali (Intesa Sanpaolo, Google Italia, E-Work) e una disamina delle buone pratiche di collaborazione tra imprese ed Enti del terzo settore, la ricerca ha tracciato un quadro aggiornato e multidimensionale del fenomeno, caratterizzato da luci e ombre.
La principale evidenza è il cambio d’opinione nei confronti della disabilità in azienda, spinto dalla prevalenza dei vantaggi percepiti rispetto alle difficoltà: benché persista il concetto di inclusione come obbligo di legge e dovere sociale, la disabilità non è più vissuta come un problema ma, con gli strumenti adeguati, può rivelarsi un’occasione di crescita aziendale e di vantaggio competitivo.
Dai dati raccolti emerge che il 76% delle aziende ha già adottato politiche di gestione della diversità non previste dalla legge, mentre il 22% dichiara di avere in programma di adottarle. Le testimonianze hanno inoltre evidenziato che, quando l’inserimento risulta efficace, le imprese e le persone ne beneficiano in termini di miglioramento del clima, della reputazione aziendale e di maggiore produttività. Non mancano, tuttavia, alcuni ostacoli che rendono l’inserimento più difficoltoso e che attengono prevalentemente a strumenti e spazi inadeguati e a bias culturali, il cui superamento ha inizio con un’azione di sensibilizzazione al fenomeno e di preparazione all’accoglienza nei luoghi di lavoro.
«Intesa Sanpaolo ha voluto dare valore all’impegno a favore delle persone con disabilità: oltre 80 disability manager appartenenti a molteplici strutture della Banca operano a supporto e sostengono ogni persona del Gruppo; il Gruppo conduce anche numerosi progetti per la disabilità con enti e associazioni, partecipa a tavoli di confronto sulle diverse esperienze maturate ed è impegnato per diffondere, dentro e fuori la Banca, consapevolezza e rispetto. Siamo convinti le caratteristiche individuali di ciascuna persona possano rappresentare un’opportunità di crescita per l’impresa e sono fiera che Intesa Sanpaolo sia stata riconosciuta prima banca al mondo tra i 100 luoghi di lavoro più inclusivi e attenti alle diversità», dichiara Patrizia Ordasso, responsabile Affari Sindacali di Intesa Sanpaolo.
«Superare le barriere e favorire l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità è una delle mission che Fondazione Italiana Accenture Ets si è data fin dalla sua nascita - sottolinea Simona Torre, direttore generale di Fondazione italiana Accenture Ets -. “Con questa ricerca intendiamo accendere i riflettori su un fenomeno di grande attualità e fornire uno sguardo integrato della disabilità nei luoghi di lavoro, con l’obiettivo di sensibilizzare le imprese e generare un impatto positivo sull'occupabilità di persone con disabilità».
Il sostegno dell'intelligenza artificiale
Il 51% dei lavoratori con disabilità in Italia considera l’Ia-Intelligenza artificiale uno strumento che facilita le proprie attività. Il 63% la utilizza con frequenza almeno settimanale, una percentuale molto più alta rispetto ai lavoratori senza disabilità (37%). Oltre la metà ritiene che l’Ia renda il lavoro più interessante e che apprenderne le funzionalità sia più semplice rispetto ad altre tecnologie. I vantaggi correlati all’uso dell’intelligenza artificiale, inoltre, sembrano favorire l’inclusione in azienda: il 57% dei lavoratori con disabilità, infatti, considera l’Ia un valido supporto parallelo alle attività di supervisione “umana” per ridurre le disparità. E per il 52% il suo utilizzo può dare una spinta rilevante per rafforzare l'equità in azienda.
I principali usi dell’Ia per le categorie più fragili riguardano la risoluzione di problemi nelle proprie mansioni (62%), la scrittura di curriculum o di lettere di presentazione (59%) e lo svolgimento di attività di back office (56%), con vantaggi che appaiono ormai irrinunciabili: il 42% di questi lavoratori lascerebbe la propria occupazione se non gli venissero offerte occasioni di sviluppo delle competenze Ia. Lo evidenzia il nuovo Workmonitor Pulse, un’indagine sulle trasformazioni del mercato del lavoro realizzata da Randstad in 15 Paesi, che nell’ultima edizione ha intervistato, solo in Italia, un campione di 800 lavoratori appartenenti a diverse generazioni, profili e settori, tra cui un 25% portatori di una disabilità sia grave che lieve (200 intervistati).
Il 47% delle persone con disabilità si dice entusiasta di utilizzare l’Ia in azienda, una percentuale simile a quella degli intervistati senza disabilità (43%). Dai dati, tuttavia, emerge anche che le aziende sono più propense all’utilizzo dell’Ia se parliamo di lavoratori più fragili: il 56% di questi dichiara di aver avuto accesso a opportunità di apprendimento e aggiornamento, contro il 35% dei lavoratori normodotati. Inoltre, quasi metà degli intervistati con disabilità afferma che il datore di lavoro consenta loro di usare l’Ia per attività relative al proprio ruolo (rispetto al 39%), e che il suo utilizzo andrebbe ancor più incoraggiato. In linea generale, l’Italia si attesta al di sopra della media globale per possibilità di utilizzo dell’Ia nelle imprese (+3%), di accesso all’apprendimento da parte del datore di lavoro (+5%), e di qualità della formazione offerta (+3%).
Oltre metà dei lavoratori italiani ritiene che l’Ia sia un supporto parallelo alle attività di "supervisione umana" per ridurre le disparità. I riscontri sono positivi sia tra i lavoratori con disabilità (57%), sia senza (55%). Nello specifico il 52% delle persone con disabilità considera l'uso dell'Ia come un elemento per rafforzare ulteriormente l'equità sul luogo di lavoro, rispetto al 40% dei colleghi normodotati. Il 51% ritiene che la sua adozione abbia migliorato l’accessibilità nel proprio ruolo, e il 53% che possa essere d’aiuto anche in futuro per la propria mansione. Negli ultimi 5 anni viene percepito un clima di maggiore uguaglianza sul luogo di lavoro, sebbene il 40% delle persone con fragilità abbia dovuto affrontare nel suo percorso discriminazioni o pregiudizi. Il 48% di loro nota una generale diminuzione di comportamenti discriminatori, un miglioramento avvertito in misura inferiore dalle donne il (43% vs 52%)
Oltre metà degli intervistati ritiene che l’aggiornamento delle competenze legate all’Ia sia essenziale per il proprio ruolo nei prossimi cinque anni, e questo vale ancor di più per i lavoratori con disabilità (59% vs 51%). Questi ultimi, in particolare, vorrebbero aumentare la formazione sull’AI per tutelare futuro professionale e potenziale retributivo (61% vs 50%). Le competenze legate all’Ia sono considerate un plus per risultare più attrattivi all’esterno in caso di ricerca di nuove opportunità, in modo trasversale. Ma l’Ia può rappresentare anche uno strumento per favorire gli scambi con i colleghi, per esempio con coloro che non parlano la nostra lingua. Si tratta di una possibilità sfruttata maggiormente dai lavoratori con disabilità (46%), rispetto al vs 32% dei normodotati.
Gran parte degli intervistati (il 42%) utilizza l’Ia per svolgere attività non di back office (come creazione di contenuti, scrittura di e-mail o testi), il 41% la impiega per il back office, mentre il 39% per risolvere problematiche sul lavoro. Il 34% si è servito dell’Intelligenza Artificiale per scrivere curriculum o lettere di presentazione. Nel caso delle persone con disabilità e dei lavoratori più giovani il modo di utilizzo cambia sensibilmente: la risoluzione di problemi è il principale utilizzo dell’AI (rispettivamente 62% e 67%), seguito dalla scrittura del cv (59% e 63%) e dai compiti di back office (56% e 54%).