venerdì 28 giugno 2024
Il confronto temporale 2011-2022 evidenzia una forte staticità delle condizioni occupazionali: il 98,9% degli occupati nel 2021 permane in occupazione a distanza di un anno
Un mercato del lavoro con luci e ombre

Un mercato del lavoro con luci e ombre - Inapp

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Entro agosto sono quasi 1,4 milioni le assunzioni previste da Unioncamere. I contratti offerti sono di durata variabile: da oltre un mese al tempo indeterminato. Molto dipende dal tipo di lavoro legato alla stagionalità. Turismo, Gdo e ristorazione sono i settori che richiedono più personale in questo periodo e spesso faticano a trovarlo. L'Ufficio Studi di Fipe-Confcommercio ha stimato che nel mese di giugno 122.070 (oltre il 75%) delle assunzioni offerte nel terziario riguarderanno i servizi di ristorazione, che arrivano a oltre 275.200 nel trimestre, un dato dovuto sia all'avvio delle imprese stagionali che all'intensificazione dell'attività legata al turismo. Il 77% delle assunzioni avverrà tramite contratti a tempo determinato, l'8% tempo indeterminato, mentre la restante parte delle collaborazioni sarà regolata con contratti di apprendistato e altre tipologie contrattuali. Tra le figure professionali più ricercate si confermano i camerieri con oltre 59.600 profili nel solo mese di giugno. Un numero, questo, destinato a raggiungere le 137.150 unità nel trimestre giugno-agosto. Seguono, poi, i cuochi con 22.510 assunzioni previste e i baristi con oltre 19.250 posti da coprire.

Il Rapporto Plus dell’Inapp-Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) fotografa dieci di mercato del lavoro con i suoi cambiamenti, a partire dai tipi di contratto sottoscritti. Il confronto temporale 2011-2022 evidenzia una forte staticità delle condizioni occupazionali: il 98,9% degli occupati nel 2021 permane in occupazione a distanza di un anno, oltre 13 punti percentuali in più rispetto a quanto si registra osservando le transizioni tra il 2010-2011 (86,5%). Allo stesso tempo coloro che permangono nella disoccupazione a distanza di dodici mesi passano dal 58,4% del 2010-11 al 94,5% del 2021-22. Inoltre, se nel biennio 2010-11 il 10,6% degli inattivi o studenti accedeva al mercato lavoro, a distanza di un decennio questa quota scende allo 0,4%. È quanto emerge

L’osservazione dell’andamento dei salari suggerisce uno scenario simile. Le lavoratrici che accedono al mercato del lavoro per la prima volta nel 2022 registrano, rispetto al 2011, un incremento medio della remunerazione pari al 23,4%, incremento che porta, tra le donne alla prima occupazione, la quota di coloro con un salario netto annuo inferiore a 8.000 euro al 15,6% rispetto al 39,2% del 2011. Allo stesso tempo però la componente maschile paga una forte staticità: la condizione retributiva media dei lavoratori che accedono per la prima volta al mercato del lavoro nel 2022 è addirittura inferiore, seppur di poco, a quella registrata nel 2011 (-1,8%).

Il tempo di ricerca di un’occupazione tra gli inoccupati si riduce significativamente tra il 2011 e il 2022, specialmente tra i giovani e gli under 50. Se i 18-29enni nel 2011 attendevano in media oltre 22 mesi per trovare un’occupazione, nel 2022 questa sospensione dall’occupazione si riduce di due terzi attestandosi a sette mesi. Una riduzione simile interessa anche i 30-49enni anche se con intensità minori specialmente per la componente maschile (da 30 a 24 mesi per gli uomini e da 44 a 12 mesi per le donne). Questo segnale di dinamicità del mercato del lavoro si associa però anche a un significativo aumento di chi ha un titolo terziario tra la popolazione disoccupata e inoccupata: nel periodo osservato, tra i disoccupati la quota di laureati si incrementa di quasi 8 punti percentuali (rispettivamente 9,2% e 17%), mentre tra gli inoccupati la quota addirittura più che raddoppia passando dal 12,8% al 27,9%.

In effetti, un importante nodo riguarda proprio il modo in cui si trova lavoro. I canali informali e, in particolare le conoscenze, continuano a essere la principale porta d’accesso all’occupazione: amici e parenti, autocandidature sono la via attraverso la quale il 77% di coloro che erano disoccupati e inattivi nel 2021 ha trovato lavoro nell’arco di un anno. L’informalità, tra l’altro, incide anche sull’instabilità del contratto di lavoro: il 43,5% dei nuovi ingressi in occupazione, sempre nello stesso periodo, si concretizza in accordi informali, lavoro intermittente o addirittura nella non conoscenza del contratto (nel 2011 si era al 18,7%), cui si aggiunge un 22,3% (23,8% nel 2011) di occupazioni a tempo determinato. Gli ingressi a tempo indeterminato si attestano sul 30,5% (erano al 26,2% nel 2011).

Una situazione che colpisce in particolare i giovani, soprattutto nel delicato passaggio tra scuola e lavoro. I 18-29enni lamentano soprattutto la scarsa qualità delle offerte di lavoro: per uno su due le proposte sono brevi o sottopagate, per il 37% (che sale al 45% tra i 18-24enni) le proposte prevedono mansioni modeste e a rischio di sotto-inquadramento, mentre il 36,5% dichiara che non ci sono servizi di inserimento al lavoro adeguati e che si è sentito solo nel passaggio tra scuola e lavoro.

Ma i giovani però il lavoro lo cercano e soprattutto attraverso i canali formali: tra il 2020 e il 2022 quasi il 14% dei 18-29enni si è recato presso un centro per l’impiego (contro l’8,2 dei 30-49enni); una percentuale lievemente inferiore (12,6%) si è rivolta alle agenzie di somministrazione di lavoro (7,7% tra i 30-49enni) e più di 1 su 10 si è interfacciato con società di ricerca e selezione del personale (6,4% per i 30-49enni).

E quando i giovani il lavoro lo trovano non sempre sembra essere in linea con il titolo di studio posseduto: circa il 20% dei 18-29enni (13% riferito agli occupati con 50 anni e più e 17% tra i 30-49enni) si percepisce sovra istruito a fronte di un valore medio del 16%.

Questo malessere professionale si traduce anche nel desiderio di lasciare il lavoro, il 19,4% degli occupati tra i 18 e i 29 anni ha pensato di dimettersi. Segnale di un disagio che resta piuttosto diffuso a livello generale interessando il 14,6% del totale degli occupati. Si fugge soprattutto da quei lavori che esigono molto in termini di impegno quotidiano, ma non rendono adeguatamente dal punto di vista retributivo e di sicurezza dell’impiego, così come rispetto alla crescita professionale e alla flessibilità oraria. Un dato per tutti: l’intenzione di lasciare il lavoro raggiunge il 34% tra chi fa straordinari non retribuiti.

«I cambiamenti intervenuti nelle transizioni lavorative tra il 2011 e il 2022 – spiega Natale Forlani, presidente dell’Inapp – devono essere valutati considerando l’evoluzione delle tendenze demografiche e le caratteristiche della crescita dell’occupazione nel secondo decennio degli anni 2000. La riduzione della popolazione in età da lavoro offre una spiegazione al miglioramento dei tempi di inserimento al lavoro dei giovani e dei disoccupati e delle condizioni salariali delle donne. La crescita dell’occupazione in molti comparti del terziario, caratterizzati da rapporti di lavoro a temine, stagionali e part-time, non consente una adeguata valorizzazione dei percorsi scolastici e genera un aumento del disagio lavorativo verso le mansioni che richiedono un elevato impegno quotidiano, ma senza il corrispettivo di retribuzioni adeguate e di sicurezza dell’impiego. Sono criticità che devono essere affrontate con politiche di medio e lungo periodo orientate alla crescita dei salari, al miglioramento delle organizzazioni del lavoro e alla valorizzazione delle competenze dei lavoratori».

Cnel, cinque milioni in attesa del rinnovo

Il numero complessivo di lavoratori in attesa di rinnovo è oggi di circa cinque milioni (nel 2023 erano circa 7,7 milioni). Lo indica il Cnel, sulla base di quanto certificano i dati elaborati grazie alle informazioni contenute nell'archivio nazionale dei contratti collettivi. «Rispetto alla contrattazione collettiva nazionale persiste il grave problema del ritardo nei rinnovi contrattuali, quantunque la recente firma di tre dei quattro principali contratti del terziario abbia consentito di ridurre in modo significativo (ma non ancora sufficiente) il numero di lavoratori e lavoratrici penalizzati da questo fenomeno in termini di tutela del potere d'acquisto», si legge nel Rapporto su mercato del lavoro e contrattazione collettiva. Al 31 dicembre 2023 risultavano depositati e vigenti 1.033 Ccnl, di cui 971 relativi al settore privato (compresi agricoltura e lavoro domestico e di cura), 18 al settore pubblico e 44 accordi economici collettivi che riguardano alcune categorie di autonomi e parasubordinati. Quanto ai soggetti firmatari, lato sindacato, viene segnalato che degli 882 Ccnl del settore privato depositati al 31 dicembre 2023 (esclusi i settori agricoltura e lavoro domestico e di cura, per i quali non sono rilevati i dati attraverso il flusso informativo Uniemens), 201 - che rappresentano 13.858.739 lavoratori - sono sottoscritti da federazioni di categoria comparativamente più rappresentative aderenti a Cgil, Cisl, Uil; 285 - che rappresentano 158.612 lavoratori - risultano sottoscritti da organizzazioni sindacali non rappresentate al Cnel. Il 96,3% dei lavoratori del settore privato con Ccnl noto (sempre con esclusione del settore agricolo e del settore domestico) - indica dunque il rapporto - è coperto da un Ccnl sottoscritto da federazioni di categoria aderenti a Cgil, Cisl, Uil.

Adapt, aumenti minimi diluiti nel tempo

Adapt ha pubblicato il X Rapporto sulla contrattazione collettiva in Italia, relativo all'anno 2023. La ricerca, basata sui testi contrattuali raccolti nella banca dati Adapt, offre un'analisi dettagliata dei rinnovi di contratti collettivi di categoria e delle dinamiche contrattuali a livello aziendale e territoriale. A livello nazionale, sono stati analizzati 44 rinnovi di contratti collettivi siglati nel corso dell'anno da Cgil, Cisl e Uil. Da evidenziare in particolare il rinnovo del Ccnl dei servizi fiduciari e vigilanza, uno dei contratti collettivi più dibattuti, e il ccnl enti di formazione professionale, in attesa da anni. Altri settori coinvolti dai rinnovi sono agricoltura, chimica, edilizia, legno e arredamento.

Il 25% dei rinnovi è intervenuto sui sistemi di inquadramento e classificazione, perlopiù con un generico impegno per la loro riforma o con l'introduzione di alcune nuove figure professionali e la modifica nelle mansioni associate alle figure esistenti, senza tuttavia procedere con un intervento strutturale, di cui da tempo si discute, in funzione di un mercato del lavoro meno statico, che valorizzi maggiormente le competenze e la professionalità dei lavoratori. Il 36% dei rinnovi è intervenuto sui contratti a termine, come conseguenza delle modifiche introdotte dal Decreto Lavoro di maggio 2023, che modificava le causali per estendere la durata dei contratti temporanei oltre i 12 mesi.

Il 25% ha introdotto modifiche in tema di orario di lavoro, con azioni di riduzione o rimodulazione a livello nazionale, come nel caso del ccnl credito, che ha ridotto di 30 minuti l'orario settimanale o il ccnl Siae che ha previsto la sperimentazione della smart week, con nove ore al giorno per quattro giorni a settimana. Nel 22% dei casi si è intervenuti sul tema della formazione, con due misure principali: incremento del monte ore di formazione retribuita (in particolare nei ccnl consorzi agrari e nel ccnl credito) e un generico impegno programmatico a implementare pacchetti formativi.Sul fronte della contrattazione collettiva aziendale, nel 2023 sono stati analizzati 440 contratti, il numero più elevato da quando Adapt ha iniziato la rilevazione. In Italia, come è noto, non esiste un obbligo legale di deposito dei contratti aziendali e ciò inevitabilmente influenza l'attività di raccolta del materiale e la trasparenza informativa. Nonostante ciò, i testi contrattuali recuperati dai ricercatori di Adapt sono sufficienti per tratteggiare le principali tendenze.

L'analisi degli oltre 400 accordi aziendali sottoscritti nel corso del 2023 da Cgil, Cisl e Uil ha rivelato che la maggior parte proviene dal settore del credito e delle assicurazioni, seguito dal settore metalmeccanico e delle telecomunicazioni. Del tutto non rappresentati invece, settori pur molto rilevanti per l'economia nazionale, come ad esempio il settore del turismo, della ristorazione, e dell'edilizia per i quali vige, di regola, una contrattazione di tipo territoriale. Da notare, inoltre, come la maggior parte degli accordi analizzati sia stata stipulata a livello aziendale (55%) o di gruppo (42%), con una distribuzione geografica che vede più della metà degli accordi con copertura multi-territoriale (73%), il 19% nel nord Italia e numeri molto bassi per quanto concerne gli accordi unicamente applicabili nelle regioni del centro e del sud, rispettivamente 7% e 1%. A livello tematico, le materie più frequentemente oggetto di negoziazione aziendale sono l'organizzazione del lavoro, il lavoro agile, il salario di produttività, il welfare aziendale, la conciliazione vita-lavoro e la formazione.

La varietà dei contenuti trattati segnala un discreto dinamismo della contrattazione collettiva, che si concentra in particolare sull'orario di lavoro, forse anche a causa dell'influenza del contesto internazionale, e sul tema del welfare occupazionale. "Queste tendenze - spiega Michele Tiraboschi, coordinatore scientifico di Adapt - possono essere certamente ascritte alla tendenza prettamente post-pandemica relativa alla maggiore attenzione per la persona del lavoratore, ma anche a nuove politiche aziendali di attraction e retention, volte ad adattarsi ad un mercato del lavoro caratterizzato da uno spiccato mismatch tra domanda e offerta di lavoro"

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