lunedì 24 giugno 2024
Anche Indonesia e Malesia, maggiori produttori di olio di palma, hanno sollecitato Bruxelles a rinviare l'applicazione della legge perché li danneggerebbe
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Negli ultimi trent’anni 420 milioni di ettari di foreste – un’area più grande della stessa Unione Europea – sono stati convertiti in terreni per l’uso agricolo. E i consumi dell’Europa sono responsabili del 10% di questa deforestazione globale che, da tempo, solleva preoccupazioni per la perdita di biodiversità ma anche di un importante stoccaggio di anidride carbonica. Alla luce di questi dati allarmanti il Parlamento europeo un anno fa aveva approvato un regolamento che vieta l’importazione di prodotti che causano la deforestazione (Eudr). L’avvicinarsi del termine per l’adeguamento a queste norme (30 dicembre 2024, ndr) ha suscitato nuove proteste da parte dei partner commerciali nel resto del mondo. I primi a protestare sono stati gli Stati Uniti, secondo importatore nell’Ue, che hanno chiesto ai 27 Stati del blocco continentale di rinviare il regolamento, che renderà obbligatorio per le imprese verificare (la cosiddetta “due diligence”) che le merci vendute nell’Ue non siano state prodotte su terreni deforestati o degradati in qualsiasi parte del mondo, includendo anche una dichiarazione con dati di geolocalizzazione.

Tra le merci individuate dalla legge europea ci sono capi di bestiame, cacao, caffè, olio di palma, soia, legno, gomma, carbone e carta stampata e tutti i prodotti derivati. Secondo quanto riportato dal Financial Times, la richiesta è stata avanzata in una lettera alla Commissione europea, (in attesa che venga riformata dopo il recente voto europeo, ndr) e arriva sei mesi prima della prevista attuazione del divieto da parte dell’Ue: Gina Raimondo e Thomas Vilsack, rispettivamente segretari americani del Commercio e dell’Agricoltura, assieme all’inviata commerciale Katherine Tai, nella missiva hanno scritto che la legge sulla deforestazione pone «sfide critiche» ai produttori statunitensi. E, dunque, fino a quando quest’ultime non saranno risolte, la richiesta dei partner commerciali è quella di «ritardare l’attuazione di questo regolamento e la successiva applicazione delle sanzioni fino a quando queste sfide sostanziali non saranno state affrontate». Posizione condivisa anche da altri due Paesi, importanti produttori di olio di palma come l’Indonesia e la Malesia con quest’ultima che si stima abbia perso circa un terzo della sua copertura arborea totale negli ultimi vent’anni per favorire la coltivazione di palme da olio.

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Al di là della questione climatica e del fatto gli alberi fungono da “pozzi di carbonio”, tra gli effetti della deforestazione vi è anche la diffusione delle malattie dagli animali all’uomo. Secondo i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC), tre quarti delle malattie nuove o emergenti che infettano gli esseri umani hanno origine negli animali. Pertanto, quando gli esseri umani distruggono gli habitat naturali e violano le foreste ricche di biodiversità, le malattie sono in grado di trasmettersi loro più facilmente dalla fauna selvatica. In Malesia, ad esempio, la deforestazione ha significato che alcune scimmie vivano più in prossimità delle persone. Allo stesso modo, anche l’epidemia di Ebola è stata collegata alla deforestazione in Guinea.

Se da un lato, quindi, la deforestazione è un problema enorme per la salute umana in tutto il mondo, poiché «identificata come una delle cause principali di infezioni» come ha spiegato Kimberly Fornace, che dirige il programma per il clima, l’ambiente e la salute all’Università di Singapore. Dall’altro vi è il nodo legato al commercio globale e a come i regolamenti europei si ripercuotano sull’economia mondiale: negli Stati Uniti i settori più colpiti dalla legge europea sulla deforestazione sono le industrie del legname, della carta e della cellulosa: si calcola che l’Ue abbia importato 3,5 miliardi di dollari di prodotti forestali americani nel 2022, secondo i dati della US International Trade Commission. Ora i commercianti di legname statunitensi si dicono pronti a valutare la possibilità di tagliare i contratti di esportazione con l’Ue perché non riescono a dimostrare che la loro carta non provenga da terreni deforestati. L’associazione di categoria dell’industria della carta e dei prodotti in legno negli Usa ha aggiunto che è «impossibile» conformarsi perché la carta e la pasta di legno sono prodotte da scarti di segheria e residui forestali miscelati da fonti diverse e «ciò rende di fatto impossibile risalire a ogni singolo truciolo di legno o al pezzo di terreno forestale originario. Peraltro la tecnologia necessaria per tracciare questo flusso di fibra per soddisfare questo requisito attualmente non esiste». Inoltre, potrebbe esserci un impatto su prodotti particolari come fazzoletti e prodotti igienici poiché gli Stati Uniti forniscono l’85% della polpa di cellulosa utilizzata in questi articoli a livello globale.

C’è stata, infine, un’opposizione interna all’Ue al regolamento Eudr entrato in vigore già a giugno 2023. I commissari europei uscenti allo Sviluppo e all’Agricoltura, Jutta Urpilainen e Janusz Wojciechowski avevano chiesto un rinvio, così come la maggioranza dei ministri uscenti dell’agricoltura dell’Ue guidati dall’Austria, che avrebbero voluto delle esenzioni per i piccoli agricoltori. Anche l’International Trade Centre, un organismo sostenuto dalle Nazioni Unite, ha sostenuto che la legge potrebbe escludere dalla catena di approvvigionamento i piccoli produttori dei Paesi in via di sviluppo, che non dispongono della tecnologia per verificare che i loro prodotti non siano stati coltivati su terreni deforestati.

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