L’Università Cattolica del Sacro Cuore ha conferito la laurea honoris causa in Economia a Mario Draghi per come ha saputo applicare nella realtà le astratte teorie economiche. «La nostra facoltà ha voluto onorare uno studioso come protagonista di un’economia “In action” e non soltanto “in the books”» come ha spiegato il rettore Franco Anelli, ricordando come, nei suoi otto anni alla presidenza della Banca centrale europea, Draghi «ha in più di un’occasione infranto i paradigmi consolidati, ha elaborato nuovi strumenti e strategie, ha perseguito con audacia e determinazione obiettivi ambiziosi e complicati, mantenendo lo sguardo sull’orizzonte delle esigenze concrete».
Draghi ha l'indispensabile freddezza dei banchieri centrali, ma forse gli serviva un applauso abbondante come quello che docenti e studenti della Cattolica gli hanno concesso ieri in Aula Magna. Nei suoi ultimi mesi da presidente della Bce (il mandato di Draghi termina il 31 di ottobre) il banchiere italiano sta subendo attacchi pesanti. I manager dei colossi finanziari tedeschi Deutsche Bank e Allianz, che faticano a gestire enormi masse di denaro in un contesto di tassi azzerati e negativo, lo hanno pubblicamente criticato per l’ultimo pacchetto di misure espansive approvato il 12 di settembre. Sei ex banchieri centrali della zona euro hanno sentito l’esigenza di scrivere una lettera in cui lo accusano di avere fallito con le sue politiche espansive e, peggio, di averle messe in pratica per salvare i Paesi più indebitati. Anche dalla Francia, solitamente posizionata sul lato più “accomodante” nel direttivo della Bce, sono arrivati richiami sorprendenti. Draghi sa benissimo che molti di questi attacchi più che a colpire lui servono ad avvertire Christine Lagarde, dal 1° novembre nuovo presidente della Bce, che non c’è più spazio per ulteriori spinte monetarie.
Nel discorso con cui ha accolto la laurea della Cattolica, il banchiere ha voluto di nuovo ribadire la bontà delle scelte fatte. Ha dato una lezione su che cosa significhi avere incarichi politici e più precisamente su quali siano le caratteristiche delle «decisioni che consideriamo “buone”» in un policy maker. Sono tre elementi a rendere buona una scelta, ha spiegato il presidente della Bce: la conoscenza, il coraggio, e l’umiltà.Dentro un messaggio del genere c’è ovviamente un riferimento a quello che non va nei policy maker di oggi. Draghi ha offerto una brillante e sintetica analisi di come il “populismo” sia il frutto della crisi della conoscenza: «Viviamo in un mondo in cui la rilevanza della conoscenza per il policy making è messa in discussione. Sta scemando la fiducia nei fatti oggettivi, risultato della ricerca, riportati da fonti imparziali; aumenta invece il peso delle opinioni soggettive che paiono moltiplicarsi senza limiti, rimbalzando attraverso il globo come in una gigantesca eco. In questo contesto è più facile per iI policy maker rispecchiare semplicemente quelli che egli reputa essere gli umori della pubblica opinione, sminuendo il valore della conoscenza, assumendo prospettive di breve respiro e obbedendo più all’istinto che alla ragione. Ma solitamente ciò non serve l’interesse pubblico».
Riprendendo la sua esperienza alla Bce, Draghi ha notato come il pacchetto di misure di stimolo lanciato tra il 2014 e il 2015 con il Quantitative easing e i tassi di interesse negativi nascesse in un contesto in cui quello che si conosceva su alcune dinamiche dell’economia, ad esempio sulla relazione tra disoccupazione e inflazione, era messo in discussione. Solo studiando a fondo i dati e la ricerca economica la Bce ha potuto portare avanti quelle misure mai sperimentate prima, e ha funzionato: secondo le stime più recenti, quelle misure hanno portato 2,6 punti di crescita al Pil della zona euro tra il 2015 e il 2018 e 1,3 punti di inflazione.La conoscenza però non dà garanzie di successo. «Vi sono situazioni in cui anche le migliori analisi non danno quella certezza che rende una decisione facile» ricorda Draghi. Per questo serve che chi fa politica abbia il coraggio di prendere decisioni difficili e dall’esito incerto. Qui il presidente della Bce coglie l’occasione per tornare a insistere sulla richiesta ripetuta (ma spesso rimasta inascoltata) ai governi della zona euro in questi anni: fare le riforme per permettere la crescita delle loro economie. Fare le riforme costa consenso perché quando gli assetti cambiano qualcuno ci rimette. «Eppure quei governi – ha detto Draghi facendo riferimento ai più riformisti degli esecutivi europei – hanno saputo distinguere gli interessi costituiti dall’interesse pubblico, guardando alla larga maggioranza che si sarebbe giovata delle riforme. I risultati positivi sono oggi sotto gli occhi di tutti».
Parlando dell’importanza dell’umiltà, Draghi ha ripreso il concetto di “indipendenza nell’interdipendenza” della Banca centrale: la Bce è indipendente ma deve eseguire un mandato politico e risponde delle sue azioni ai rappresentanti del popolo. La sua politica monetaria può poco se non c’è la collaborazione dei governi. A chi si lamenta dei tassi bassi, il banchiere ha ricordato che se gli Stati della zona euro investissero di più, gli interessi potrebbero risalire: «Una politica fiscale più attiva nell’area dell’euro permetterebbe quindi di modificare più celermente quelle politiche dei cui effetti negativi su alcune categorie di cittadini e di intermediari siamo ben consapevoli».Le critiche, insomma, non fanno sentire isolato il presidente della Bce. Draghi ha ricordato che c'era chi criticava la creazione dell’Ue e dell’euro, ma «oggi sono coloro che dubitavano ad essere messi in discussione». Difatti nonostante una campagna elettorale per le ultime europee dovunque incentrata sulla contestazione dell’Ue, alla fine «i parlamentari eletti sono risultati in maggioranza a favore dell’Europa». Per questo il presidente lascia Bce con un sentimento di ottimismo sul futuro dell’Europa. «L’euro è più popolare che mai; il sostegno all’UE tocca i valori più alti registrati dall’inizio della crisi. Nei dibattiti sul futuro dell’Europa si discute sempre meno se la sua esistenza abbia senso e assai di più sulla via migliore per avanzare. Su queste basi la nostra Unione può durare e prosperare»