Flavio Felice è coordinatore del corso biennale in Dottrina Sociale della Chiesa promosso dalla Fondazione Centesimus Annus - Pro Pontifice in collaborazione con la Pontificia Università Lateranense. La XVI edizione del corso inizierà il 1° ottobre. Felice, docente ordinario di Dottrine economiche e politiche alla Pontificia Università Lateranense, si sofferma sulle relazioni tra Dottrina sociale della Chiesa ed economia.
In che relazione si trova la Dottrina sociale della chiesa con l’economia contemporanea?È questo un punto essenziale dei nostri corsi. La Dottrina sociale della Chiesa non si identifica con la scienza economica, ma si relaziona ad essa, mirando a raccordarla attorno ad una antropologia. Se la scienza economica descrive i fenomeni dal punto di vista del suo problema fondamentale (come allocare in modo ottimale risorse scarse per usi alternativi), la Dottrina sociale della Chiesa esprime in primo luogo una dimensione normativa, in forza di una chiara idea di uomo: immagine visibile del Dio invisibile. In tal senso la Dottrina dialoga costruttivamente con tutte quelle prospettive economiche contemporanee che esprimono uno statuto epistemologico al centro del quale troviamo il valore dell’azione della persona, piuttosto che aggregati e funzioni collettive: si pensi in tal senso all’economia sociale di mercato, come ricordato di recente dallo stesso Papa Francesco.
Quale contributo può dare la Dottina sociale della Chiesa al funzionamento delle istituzioni economiche internazionali?Il riferimento più recente ed esplicito, in questo senso, è da ricercare nell’enciclica Caritas in veritate, lì dove si rinvia ai principi di solidarietà, sussidiarietà e poliarchia. Nei paragrafi 57 e 67, Papa Benedetto ci dice che bisognerebbe operare a favore di una "governance della globalizzazione", bandendo nel modo più assoluto ogni riferimento ad una autorità politica a competenza universale.
Come può l’attività economica porsi al servizio dell’uomo?Le attività economiche non sono indipendenti dall’azione umana, non esiste pratica economica che non interessi la persona. Se si esclude la persona o se si assume come meramente strumentale la sua presenza, se la si ignora fino a farla diventare marginale, le ragioni stesse della persona saranno sostituite dalle ragioni delle organizzazioni (stato, classe, razza, partito) e la persona in carne ed ossa sarà sempre disarmata di fronte a chi vorrà sacrificarla sull’altare di "forze maggiori": il destino della storia, la superiorità di una razza, la dittatura di una classe, il dominio di una nazione e multa exempla docent.
Quali punti dell’Evangelii Gaudium possono essere applicati per orientare l’economia verso il bene comune?Il tema dell’inclusione sociale credo sia al centro del Magistero sociale presente in Evangelii gaudium. Il Papa ci dice che la crescita non è immediatamente sinonimo di sviluppo e di inclusione. Il mercato, dinamico e aperto, potrebbe essere lo strumento migliore per incrementare la crescita, ma tale crescita non si traduce necessariamente in sviluppo umano integrale ed in inclusione sociale.
Qual è allora una crescita giusta ed equa?Lo sviluppo integrale non è riducibile alla mera crescita economica perché il primo presuppone una dimensione meta-economica che il mercato non produce da sé; come, tra gli altri, ci hanno insegnato i padri dell’economia sociale di mercato, a partire da Wilhelm Röpke e da Luigi Sturzo. In pratica, significa ammettere che si possa dare una crescita senza lo sviluppo, perché esiste un profitto di monopolio, un profitto di guerra; perché esiste il profitto di chi pretende di raccogliere senza aver prima seminato, di chi si approfitta delle strette relazioni con il potere, di chi devasta la terra, di chi traffica in droga e in armi; perché esiste un profitto di chi consuma in modo dissennato le ricchezze prodotte dalle generazioni precedenti e di chi scarica i costi del presente sulle generazioni future.