L'interno di un museo - Archivio
Buone notizie dal sistema produttivo culturale e creativo italiano. Dopo la crisi degli anni passati torna ad avere un segno positivo, registrando un incremento del valore aggiunto tra il 2020 e il 2021 del 4,2%. Ma il rimbalzo del 2021 non ha permesso di recuperare il terreno perso e tornare ai livelli pre-pandemici, in particolare per quanto riguarda i settori afferenti alla sfera live. Tra questi, il biennio ormai alle spalle ha evidenziato una notevole contrazione della ricchezza prodotta soprattutto nelle attività dello spettacolo (-21,9%; corrispondente in valori assoluti a -1,2 miliardi di euro) e in quelle dedite alla valorizzazione del patrimonio storico e artistico (-11,8%; pari a -361 milioni di euro). Una sostanziale crescita ha interessato, invece, il settore dei videogiochi e software (+7,6%), come risposta alla aumentata necessità di dotarsi di tecnologie informatiche per ovviare alle restrizioni in atto. Si riscontrano tendenze analoghe sul fronte occupazionale, con le performing art che scontano maggiormente le criticità del biennio (rilevanti soprattutto nel corso del 2020) per via di una base occupazionale caratterizzata da contratti prevalentemente atipici (-15,6%; -17 mila addetti) e le attività di valorizzazione del patrimonio storico e artistico altrettanto incapaci di contenere le perdite (-14,6%; -9 mila addetti). Significativi anche i cali di performance registrati dall’audiovisivo e musica e dall’editoria. Se il primo si contraddistingue soprattutto per importanti perdite dal punto di vista della generazione della ricchezza (-11,6%; -684 milioni di euro), il secondo spicca per le perdite occupazionali (-5,5%; oltre -11 mila addetti). Nel complesso, le attività core hanno registrato una contrazione del 4,8% in termini di valore aggiunto e dell’1,7% in relazione all’occupazione, mentre le creative driven hanno mostrato maggiore stabilità (-1,7% il valore aggiunto, -1% gli occupati), in linea con quanto osservato negli anni addietro. Tali dinamiche hanno generato perdite significative all’interno del comparto: tra il 2019 ed il 2021 la ricchezza prodotta è diminuita di oltre tre miliardi di euro (-3,4%; sensibilmente peggiore di quella mediamente registrata dall’intera economia che si attesta al -1,1%) e le persone occupate sono state oltre 33 mila in meno (-2,3%; -1,5% per l’intera economia). La foto al 2021 ci restituisce un sistema che dà lavoro a 1,5 milioni di persone che producono ricchezza per 88,6 miliardi di euro, di cui 48,6 miliardi (il 54,9%) generati dai settori culturali e creativi (attività core) e altri 40 miliardi (il 45,1%) dai professionisti culturali e creativi attivi. Un sistema formato da 270.318 imprese e 40.100 realtà del terzo settore (11,1% del totale delle organizzazioni attive nel non profit). Sono alcuni dei dati contenuti nel rapporto Io sono Cultura, arrivato alla XII edizione, realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere, con la collaborazione del Centro Studi delle Camere di commercio Guglielmo Tagliacarne, insieme a Regione Marche e Istituto per il Credito Sportivo. «La cultura ha pagato più di altri settori la crisi ma conferma il suo ruolo economico centrale. L’Italia deve essere protagonista – spiega Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola - del nuovo ‘Bauhaus’, fortemente voluto dalla Commissione Europea che nasce per rinsaldare i legami tra il mondo della cultura e della creatività e i mondi della produzione, della scienza e della tecnologia orientandoli alla transizione ecologica indicata dal Next Generation EU. Cultura, creatività e bellezza sono la chiave di volta di molti settori produttivi di un’Italia che fa l’Italia e consolidano la missione del nostro Paese orientata alla qualità e all’innovazione: un soft power che attraversa prodotti e territori e rappresenta un prezioso biglietto da visita. Un’infrastruttura necessaria per affrontare le sfide che abbiamo davanti. Se l’Italia produce valore e lavoro puntando sulla cultura e sulla bellezza, favorisce un’economia più a misura d’uomo e, anche per questo, più competitiva e più capace di futuro come affermiamo nel Manifesto di Assisi». «Nel 2021 le imprese culturali e creative sono apparse ancora lontane dai numeri del 2019, anno pre-crisi pandemica: la variazione del valore aggiunto nel biennio è infatti pari al - 4,8%, rispetto al -1,2% a prezzi correnti del totale dell’economia - sottolinea Andrea Prete, presidente di Unioncamere -. Sebbene nel 2021 si sia registrato un recupero del +3,6%, questo non ha compensato le perdite del 2020. Il rilancio di questo articolato universo di aziende passa per: una rinnovata attenzione alla sostenibilità, ambientale e sociale; una dimensione sempre più digitale integrata a quella fisica, cosiddetta phygital, dei servizi; una crescente integrazione di settori, canali e contenuti». Guardando ai settori, continua la crescita del settore dei videogame italiano, in ritardo rispetto altri Paesi dove da anni è la principale industria culturale e creativa (192 miliardi di dollari di fatturato nel mondo nel 2021), in particolare nel genere racing dove le aziende italiane rappresentano un’eccellenza mondiale nella produzione di videogiochi di genere. Altro settore in forte crescita è quello del fumetto, protagonista assoluto del mercato del libro italiano: nel 2021 si è registrato un vero e proprio boom, con 11 milioni di copie vendute per un valore a prezzo di copertina di 100,245 milioni di euro. Una crescita del 256% rispetto al 2019. Nel settore del cinema osserviamo due dinamiche differenti per la produzione e la distribuzione. Mentre la prima va a gonfie vele, con una crescente attenzione all’internazionalizzazione e un aumento dell’occupazione (l’impegno delle troupe cinematografiche e televisive nel 2022 passerà, secondo i sindacati, da 1600 a 2300 settimane di riprese annuali) la sovrabbondanza di titoli fa fatica ad arrivare in sala e difficilmente riesce a catturare l’attenzione degli spettatori. Il mancato passaggio in sala e l’arrivo direttamente in tv o sulle piattaforme sta indebolendo il sistema con il risultato che le sale sono vuote (salvo pochi blockbuster americani), aggravando il già pesante fardello imposto loro dalla pandemia. Sia in termini di valore aggiunto sia di occupazione emerge una chiara differenziazione tra il Nord Italia e il Mezzogiorno. La grande area metropolitana di Milano è al primo posto nelle graduatorie provinciali per incidenza di ricchezza e occupazione prodotte, con il 9,5 e il 9,9%. Roma è seconda per valore aggiunto (8,5%) e quarta per occupazione (7,8%) mentre Torino si colloca terza (8,2%). Seguono, per valore aggiunto Arezzo (7,8%), Trieste (6,9%), Firenze (6,7%), Bologna (6,1%) e Padova (6 %).