domenica 19 dicembre 2010
Oltre 450mila i posti a rischio. Al ministero 170 «tavoli». È l’occupazione il problema più incandescente. Se reggono ordini e fatturato nel mondo industriale, nel territorio ci sono centinaia di aziende in difficoltà a mantenere i livelli occupazionali. Per tre milioni di italiani il regalo più bello sarebbe un’opportunità di impiego. IL DIRETTORE: ECCO PERCHE' CI VUOLE LA GOVERNABILITA'
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Tempo di auguri. Ma soprattutto di desideri in questo Natale ancora sotto il segno della crisi, dove il regalo più bello per quasi tre milioni di italiani sarebbe un lavoro. Quello che si è perso e si vorrebbe ritrovare. Quello che sta sfuggendo e che si difende a denti stretti. Quello che non si è mai avuto e si sogna di ottenere per la prima volta. Quello che ormai molti giovani hanno persino smesso di cercare. Perché anche i sogni, i desideri (come fotografato giorni fa dal Censis) svaniscono – in un’Italia «appiattita» e senza «pulsioni vitali» – sotto il peso dell’indifferenza e della mancanza di opportunità. Una situazione di scoraggiamento e apatia che coinvolge, nell’area Ocse, 16,7 milioni di ragazzi. L’organizzazione di Parigi li chiama «gruppo Neet», né studio né lavoro. L’Italia è penultima per l’occupazione giovanile: con il 21,7% fa meglio solo dell’Ungheria, ferma al 18,1%, ed è ben al di sotto della media dei Paesi membri (40,2%). A ottobre, il tasso di disoccupazione è stato dell’8,6%, contro l’8,3% di settembre. Parliamo di 2,167 milioni di disoccupati, «più del doppio rispetto ad aprile 2007».È il lavoro dunque l’ostacolo principale alla ripresa. Se – lo abbiamo evidenziato ieri – tengono gli ordini e i fatturati delle imprese industriali, l’occupazione rimane a livelli preoccupanti. Dal primo trimestre 2008 al terzo trimestre 2010, il numero di occupati è diminuito di 540mila unità, senza contare le ore di cassa integrazione, che hanno un impatto su 480mila unità di lavoro. Almeno secondo l’ultima stima del Centro studi di Confindustria, secondo cui «il numero delle persone occupate continuerà a diminuire nel 2011», con un calo atteso dello 0,4%.Dati, numeri. Che allarmano, certo. Ma restano sterili, freddi. E rischiano appena di sfiorare chi non è toccato. Chi è "salvo". Chi un posto ce l’ha e vive la propria vita forse in maniera più sobria, ma serenamente. La realtà – quella che viviamo e vediamo con i nostri occhi – è ancora più dura e drammatica. Le situazioni calde, di aziende in crisi, segnano le città. Da Nord a Sud. Le manifestazioni, i cortei (quelli di vera disperazione) si moltiplicano. Al punto che per essere ascoltati, da istituzioni, opinione pubblica, media e aziende stesse, bisogna arrivare a gesti eclatanti. Salire su torri e tetti. Di notte, al freddo e al gelo. Oppure rifugiarsi in luoghi di frontiera, di confine, come l’isola dei cassintegrati dell’Asinara, per difendere l’impianto Vinyls di Porto Torres.La stessa società in amministrazione straordinaria che a Marghera ha portato alcuni lavoratori su una torre, da giorni, e che neanche l’accorato appello e la solidarietà del cardinale Angelo Scola ha convinto a desistere. «Restiamo qua, perché non ci fidiamo». La fiducia, quella che manca fra i lavoratori di molte fabbriche. Dalle più grosse alle più piccole. Vertenze che si alternano nei tavoli del ministero per lo Sviluppo Economico. Oltre 150 quelli attivati lo scorso anno. Saliti a 170 quest’anno. Alcuni risolti, come quello dell’Alcoa o di recente di Indesit. Altri ancora in sospeso, come quello della A. Merloni, dove si attende di conoscere l’esito del bando internazionale per chi rileverà gli impianti. Come la Tirrenia, ancora in amministrazione controllata, alle prese con un difficile processo di privatizzazione. I sindacati si preparano allo sciopero del 10 gennaio contro «la decisione unilaterale di avvio della procedura per il ricorso alla Cig per 722 marittimi della compagnia». E poi Fiat. La madre di tutte le "battaglie". Dalle vertenze del Lingotto passa la rivoluzione delle relazioni fra industria e sindacati. L’accordo separato di Pomigliano segna forse la chiave di volta. Un modello con le deroghe al contratto nazionale dei metalmeccanici che influenza il tavolo di Mirafiori, saltato nelle scorse settimane. Ora sindacati , governo, Confindustria e azienda sono impegnati in un intenso lavoro di diplomazia per giungere entro l’anno a un accordo. Ieri ancora un presidio organizzato dalla Fiom per sostenere la necessità dell’investimento a Mirafiori, «per la ripresa della trattativa e raggiungere un’intesa che dia garanzie per chi lavora tenendo conto delle condizioni di lavoro».Una miriadi di crisi, quelle diffuse nel territorio, spesso nel silenzio, che – solo fra industria ed edilizia – interessano oltre 450mila lavoratori. Che a Natale sperano soltanto in una buona notizia.
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