venerdì 9 ottobre 2015
Per il presidente del Movimento cristiano lavoratori (Mcl) la rottura delle trattative tra Confindustria e sindacati non serve a nessuno, poiché «c’è sempre bisogno dei corpi intermedi».
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«Gran brutti tempi per la rappresentanza in Italia: la rottura delle trattative tra Confindustria e mondo sindacale apre praterie, lasciando il campo libero a una 'legge sindacale' calata dall’alto, imposta cioè dal governo. Non è un’ora felice per la nostra democrazia». Carlo Costalli, presidente del Movimento cristiano lavoratori (Mcl), è preoccupato per il muro contro muro tra imprenditori e sindacati. Come spiega questa situazione? Mi sembra una crisi pilotata dal governo e da certi ambienti politici e imprenditoriali che stanno approfittando della debolezza del sindacato, in particolare della Cgil. Sono in gioco gli equilibri tra mondo sindacale, impresa e politica. Squinzi vorrebbe dettare le regole e l’esecutivo ne approfitta, giocoforza, per imporre ordine nel mondo del lavoro. Tutta colpa della riforma del lavoro e della globalizzazione? Bisognava superare le scelte ideologiche del passato e uscire dagli schemi del Novecento industriale. Ma non si può buttare via il bambino con l’acqua sporca. Le correnti del cambiamento mirano a mettere all’angolo un sindacato che ha tardato a rinnovarsi, non più ritenuto al passo con i tempi, quindi inutile. Si può dare spazio al pieno protagonismo dei lavoratori alla vita delle imprese, ancorando ai territori, vera 'prima linea' del mondo del lavoro, scelte contrattuali mirate e condivise. Cambia, quindi, il ruolo del sindacato? C’è sempre bisogno dei corpi intermedi. Soprattutto in una società che deve affrontare le nuove povertà, l’integrazione degli immigrati, la disoccupazione giovanile. I valori da difendere sono: l’autonomia delle parti sociali, il pluralismo, la sussidiarietà. È necessario anche un rilancio della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Qual è la soluzione a questo muro contro muro? La realtà è che questa visione antagonista delle forze in campo non aiuta la composizione sociale: la risposta sta necessariamente nell’insegnamento della Dottrina Sociale della Chiesa, in una visione che metta al centro del processo produttivo la valorizzazione della persona e delle sue competenze.
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