Oltre sei milioni di lavoratori attendono i rinnovi - Archivio
Oltre sei milioni di lavoratori attendono il rinnovo del loro contratto nazionale di lavoro. Sono poco più della metà dei dipendenti italiani e alcuni aspettano anche da anni, visto che il tempo medio di attesa è passato dai 28,7 mesi di settembre 2021 ai 33,9 mesi del settembre scorso. Le settimane appena trascorse hanno però segnato un’importante attività sindacale, con la stipula di numerosi accordi di rinnovo dei Ccnl: dall’edilizia agli autoferrotranvieri, dagli estetisti e acconciatori agli addetti agli impianti sportivi e al personale sanitario. Oltre al denominatore comune degli aumenti retributivi, di norma riconosciuti in due o più tranche, sono tante le novità in materia di contratti a tempo determinato, congedi e assistenza sanitaria integrativa. Alla fine di settembre 2022, i 44 Ccnl in vigore nel solo settore pubblico riguardano il 49,3% dei dipendenti e corrispondono al 50% del monte retributivo complessivo. Nel corso del terzo trimestre 2022 sono stati recepiti invece sei contratti nel settore privato (estrazione minerali solidi, chimiche, laterizi e manufatti in cemento, energia elettrica, radio e televisioni private ed energia e petroli), mentre per il settore pubblico si segnala il recepimento per il triennio 2019-2021, degli accordi di rinnovo dei vigili del fuoco direttivi e dei vigili del fuoco non dirigenti e non direttivi. Nello stesso periodo è scaduto il Ccnl società e consorzi autostradali. Nel periodo gennaio-settembre 2022, la retribuzione oraria media è aumentata dell’1%, incremento più consistente di quello registrato per lo stesso periodo nel 2021 (pari allo 0,6%). L’indice delle retribuzioni contrattuali orarie a settembre 2022 rimane invariato rispetto al mese precedente, mentre aumenta dell’1,1% rispetto a settembre 2021. L’aumento tendenziale delle retribuzioni contrattuali è stato dell’1,5% per i dipendenti dell’industria, dello 0,6% per quelli dei servizi privati e dell’ 1,5% per i lavoratori della pubblica amministrazione. In particolare, gli aumenti tendenziali più elevati sono quelli dei ministeri (+9,3%), delle farmacie private (+3,9%) e dei Militari-Difesa (+3,8%). L’incremento è invece nullo per il commercio, credito e assicurazioni, energia e petroli ed energia elettrica e gas. Di recente il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha aperto ai nuovi contratti del pubblico impiego per il triennio 2022-2024. Un’operazione che peserà sulle casse dello Stato per almeno dieci miliardi di euro. Il rinnovo dei contratti del pubblico impiego per il triennio 2019-2021, costato complessivamente sette miliardi di euro, ha portato aumenti di poco superiori al 4%, a fronte di un’inflazione praticamente azzerata. L’inflazione acquisita per il 2022 è pari invece a +7,1% per l’indice generale e a +3,6% per la componente di fondo. Il governo aveva previsto che a fine anno l’inflazione potesse arrivare al 7%, per poi scendere al 5,5% il prossimo anno. Insomma, senza il rinnovo dei contratti le retribuzioni degli statali rischiano una svalutazione. Per il presidente dell’Aran-Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni Antonio Naddeo c’è un problema di fondi: «Si tratta di un campo ancora tutto da verificare, per adesso sono stanziate solo le risorse per il pagamento dell’indennità di vacanza contrattuale. Tuttavia l'inflazione ha continuato a volare a ottobre a livelli mai visti dagli anni '80, segnando un +11,9% annuo con il carrello della spesa a +12,7%, mentre le retribuzioni sono cresciute solo dell'1,1%. Se si prende poi l'indice inflattivo Ipca che si applica ai rinnovi contrattuali, le buste paga sono 6,6 punti sotto. E questa differenza non verrà recuperata a breve. Per due motivi: i contratti rinnovati anche solo un anno fa non tengono conto della super inflazione. E tranne quello dei metalmeccanici - che prevede nel triennio una clausola di salvaguardia con aggiustamenti periodici - gli altri sono già inadeguati. Il secondo motivo è il rinnovo dei contratti scaduti abbinato a un indice - l'Ipca depurato dalla componente energetica importata - che i sindacati considerano inappropriato per questa fase in cui l'inflazione è indotta proprio dal prezzo dei prodotti energetici per almeno i due terzi. Escludere questa parte significa tagliare dai contratti il recupero di una buona fetta dell'inflazione. L'Ipca a cui di solito si fa riferimento è quella fissata a giugno di ogni anno da Istat: quindi +4,7% per i rinnovi di quest'anno, all'incirca la metà dell'inflazione acquisita per il 2022. Sui singoli tavoli contrattuali, quando la questione viene sollevata, non sempre si trova una soluzione migliorativa. I datori di lavoro non vogliono legarsi a un'inflazione troppo alta, specie se poi questa dovesse sgonfiarsi. In molti casi, con gli integrativi e i benefit - grazie alla contrattazione di II livello e ai premi di risultato - si cerca di tamponare il morso del carovita e la riduzione del potere di acquisto. Purtroppo solo tre aziende su dieci stipulano accordi del genere. Secondo il Report Deposito Contratti sono stati depositati 76.491 contratti di II livello. Il Report registra 11.944 contratti attivi, di cui 10.395 aziendali e 1.549 territoriali.