sabato 17 novembre 2012
​L'obiettivo è avvicinare i giovani all'occupazione, lanciando un segnale positivo per contrastare «i vari messaggi che in questi ultimi dieci anni hanno fatto di questa generazione una generazione di scoraggiati inattivi».
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"Il dato dell'Istat che ci vede terz'ultimi in Europa, davanti solo alla Turchia e alla Repubblica Slovacca, per percentuale di giovani Neet (Not in education, employment or training - coloro che non  studiano e non lavorano) sulla popolazione giovanile, non è reale. Su 100 giovani di età 15-29 anni, 70 studiano, 30 cercano lavoro e 20 lo trovano. I nostri non sono tutti giovani choosy". È quanto sottolinea uno studio dell'area Education di Confindustria presentato a Firenze in occasione della XIX Giornata nazionale OrientaGiovani. "Il vero problema è capire che in Italia il freno al lavoro dei giovani - si legge nel rapporto - è il mismatch tra domanda del mercato del lavoro e professionalità offerte dal sistema educativo". "I processi di sviluppo del capitale umano nel nostro paese sono tuttavia poco visibili, nonostante un'importante tradizione pedagogica e manifatturiera", puntualizza l'Area Education.
 
In Italia, oltre il 70% dei neolaureati ignora che siamo il secondo Paese manifatturiero in Europa (dopo la Germania). "Occorre vincere i pregiudizi", si osserva, che allontanano gli studenti dalle materie tecniche e scientifiche, per generare nei giovani uno stimolo conoscitivo che li porti a scoprire le opportunità che una buona formazione tecnica offre. Nel dopoguerra l'istruzione tecnica ha concorso allo sviluppo del Paese: l'Italia del boom economico è stata fatta da geometri, commercialisti e periti industriali. La diffusione degli Istituti tecnici industriali sul territorio - ricorda il rapporto presentato a Firenze - ha contribuito allo sviluppo dei sistemi produttivi territoriali. Molto dello sviluppo industriale italiano "lo dobbiamo a prestigiosi istituti tecnici ed eccellenti periti che hanno portato il nostro paese ad essere tra le otto principali potenze più industrializzate del mondo".
Gli Istituti tecnici sono le scuole "della domanda, dell'innovazione che accorciano le distanze tra studio e lavoro, perché i giovani diplomati tecnici entrano prima dei loro coetanei nel mercato del lavoro avvicinandosi alle tendenze in atto nel panorama europeo". Eppure, in Italia, rileva il rapporto area Education di Confindustria, si è studiato poco l'effetto pedagogico del lavorare. "La manualità è disprezzata. Gli Istituti tecnici sono considerati scuole di serie B. Le professioni artigiane sono spesso trascurate. Mentre in Germania l'apprendistato è una costola importantissima del sistema formativo (frequentato da un numero elevatissimo di giovani), da noi è solo un contratto di lavoro (pochissimi giovani lo frequentano per acquisire un diploma e molti insegnanti-orientatori della terza media ne ignorano la valenza educativa".
Negli ultimi 20 anni, mentre le imprese raddoppiavano il numero di tecnici la scuola li dimezzava. Il liceo, scuola un tempo d'elite, diventava la scuola di tutti. L'insieme degli iscritti alle diverse tipologie di liceo superava gli iscritti agli istituti tecnici. "Non dobbiamo continuare a proporre un modello in cui esiste un tempo per lo studio e un tempo per il lavoro: dobbiamo incoraggiare i nostri ragazzi - auspica lo studio - a conoscere prima il valore dell'impresa, la bellezza dei suoi prodotti e ad appassionarsi al lavoro". Tra scuola e impresa vi sono anche notevoli affinità. A scuola si produce apprendimento, l'impresa è una organizzazione che apprende. "Su questo esempio occorre proporre ai giovani, sia in famiglia che nella scuola, l'imprenditore come una delle possibili professioni da svolgere", osserva lo studio. A conclusione dei cicli di studio, sarebbe bene che, accanto alla classica e inevitabile domanda "ci sarà un posto di lavoro anche per me, ora che ho finito gli studi?", alcuni giovani avessero il coraggio di porsi un'altra domanda: "Quanti posti di lavoro sarò capace di creare, con la mia intraprendenza, la mia competenza, il mio senso del rischio?".
"Una scuola che prepara all'immobilità sociale e non coltiva nei giovani il senso dell'intrapresa economica non aiuta lo sviluppo. La percezione sociale del ruolo dell'imprenditore che reinveste e rischia la propria ricchezza evitando la tentazione del mero arricchimento e la protezione di posizioni di rendita, è uno degli indicatori più significativi di evoluzione sociale. Il nostro è un Paese che ne ha davvero bisogno", conclude il rapporto dell'Area Education.
La Giornata nazionale OrientaGiovani è anche questo: "Uno stimolo per i ragazzi ad appassionarsi all'impresa, a intraprendere studi tecnico-scientifici, a conoscere storie di successo di giovani come loro che hanno avuto idee imprenditoriali efficaci". Scopo dell'edizione 2012  è avvicinare i giovani al lavoro, lanciando un segnale positivo per contrastare "i vari messaggi che in questi ultimi 10 anni hanno fatto di questa generazione una generazione di scoraggiati inattivi".
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