giovedì 11 giugno 2015
L’indagine realizzata in collaborazione con Mediobanca sostiene che i costi per la gestione del rischio assorbono il 3,5% del fatturato, pari a 2,3 milioni di euro per impresa. La maggiore attenzione è dedicata alle fasi produttive e ai rapporti con i clienti e fornitori. Viene dedicata meno attenzione ai rischi reputazionali e ambientali, ambiti che risultano però collegati e strategici per il futuro. Molto penalizzate le aziende del Sud.
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Sono imprese con un fatturato di circa 65 milioni di euro, in cui la quota dell’export vale il 45%, e hanno una media di oltre 165 dipendenti, ma soprattutto realizzano una redditività industriale del 20-30% superiore rispetto a quelle che trascurano il rischio. È la carta d’identità della media impresa italiana che gestisce il rischio presentata nell’indagine realizzata da Cineas - Consorzio universitario fondato dal Politecnico di Milano nel 1987 che si occupa di diffondere la cultura del risk management- in collaborazione con Mediobanca e con il contributo di UnipolSai Assicurazioni. Hanno partecipato all’indagine 257 aziende appartenenti ai settori: alimentare, beni di consumo per la casa e per la persona, chimico farmaceutico, carta e stampa, meccanico e metallurgico. Complessivamente le aziende del campione allocano il 3,5% del proprio fatturato per la gestione dei rischi, ossia 2,3 milioni di euro. "Siamo giunti alla III edizione dell’Osservatorio sulla diffusione del risk management nelle pmi e quest’anno abbiamo deciso di concentrare la nostra attenzione sulle medie imprese per individuare un segmento più omogeneo di aziende, con caratteristiche di dinamicità ed innovazione a livello economico – spiega il presidente del Consorzio, Adolfo Bertani -. Le imprese del campione, infatti, sono italiane come proprietà e come produzione e fanno della qualità made in Italy il proprio vantaggio competitivo anche e soprattutto sui mercati internazionali". Rispetto alle precedenti edizioni, il rischio finanziario non è più il primo in classifica, in quanto le medie imprese hanno una struttura solida e rapporti con le banche molto consolidati. I dati evidenziano che le imprese più evolute dal punto di vista della gestione del rischio riportano regolarmente performance economiche più soddisfacenti. Tutti gli indici, infatti, la redditività industriale (Roi), quella netta (Roe) e la competitività (clup) sono sistematicamente superiori nelle imprese attente ai rischi.  Inoltre, secondo il 74% delle aziende il risk management è uno strumento per cogliere opportunità, mentre nelle precedenti edizioni dell’Osservatorio, quando il campione includeva anche le piccole realtà, era sistematicamente valutato come un costo e questo ne rappresentava il principale ostacolo alla diffusione. Secondo gli intervistati il risk management è uno strumento che contribuisce a semplificare i rapporti sia con le banche (63,5%) che con le imprese di assicurazione (77,4%). "Colpisce, tuttavia, che nelle medie imprese intervistate non esista una figura strutturata di risk manager (solo lo 0,2% dei casi) seppure le risorse destinate a quest’area sono ingenti - aggiunge Bertani -. Per il prossimo triennio si prevede che un’impresa su quattro aumenterà il budget destinato al risk management. Per razionalizzare le attività è indispensabile che questa figura venga integrata nell’organico". Dai risultati si riscontra che le macro aree di rischio maggiormente percepite dalle medie imprese italiane sono nell’ordine: il rischio informatico, seguono gli aspetti di conformità legale per chiudere con i rischi operativi. "In generale vi è coerenza tra la rilevanza mediamente attribuita a ciascuna macro-area di rischio e l’efficacia degli strumenti adottati per gestirli – commenta Gabriele Barbaresco, direttore dell’Ufficio Studi di Mediobanca che ha effettuato le rilevazioni e l’analisi dei dati -. Sono rischi 'tradizionali' che derivano dalla mancata conformità alle normative mappabili per via strumentale e secondo standard tecnici condivisi o legati all’aspetto 'fisico' della produzione, vale a dire alle fasi di trasformazioni degli input in prodotti o semilavorati (rischi operativi). In particolare riguardo a questi ultimi esistono specifiche e soddisfacenti coperture assicurative". La 'produzione', intesa come sequenza di fasi tecniche che si svolgono dall’acquisizione degli input alla realizzazione del prodotto finito ed al suo collocamento sul mercato, appare come l’asset che attrae il maggiore impegno delle medie imprese nell’ambito della gestione dei rischi.All’interno di ciascuna macro area, i rischi che in valore assoluto sono maggiormente percepiti e presidiati risultano: la sicurezza sul lavoro, la solvibilità dei clienti e la regolarità degli adempimenti fiscali. Franco Ellena, direttore generale Assicurativo di UnipolSai Assicurazioni  e Vicepresidente Cineas area Assicurazioni, evidenzia: "Abbiamo deciso di supportare questa indagine in quanto riteniamo molto importante la conoscenza approfondita delle medie imprese per poter proporre prodotti assicurativi sempre più adatti alle loro esigenze". Sul rischio ambientale le medie imprese non appaiono particolarmente sensibili e si sentono adeguatamente garantite dalle coperture assicurative presenti sul mercato. "Non stupisce la scarsa incidenza del rischio finanziario  e in generale dei rischi connessi alle attività sui mercati esteri data la struttura robusta delle medie imprese e la presenza su mercati di prossimità (principalmente all’interno dell’eurozona) - commenta Barbaresco –. Va notato, invece, come non ci sia un’adeguata percezione e protezione dei rischi da danno reputazionale e da disaster recovery (ossia ripristino integrale delle funzionalità informatiche a seguito di un evento catastrofico), seppure le medie imprese italiane sono attive online (il 60% dell’universo di riferimento ha un sito aggiornato, ottimizzato e utilizza il web ai fini commerciali). Questo tipo di eventi ha una probabilità di accadimento remota, ma un’incidenza dei danni pressoché irreversibile. La  mancata considerazione di questi aspetti, quindi,  appare un elemento di scarsa consapevolezza della loro portata ed evidenzia un’area di potenziale arretratezza che necessita di diffusione di cultura e di conoscenze. In particolare alla luce del fatto che, all’interno del campione d’indagine, è emersa una relazione positiva tra la gestione dei rischi reputazionali e la marginalità industriale; nelle proiezioni, il presidio di questo tipo di rischi è associato con i maggiori miglioramenti della redditività delle imprese". Tuttavia le medie imprese del Sud Italia appaiono fortemente penalizzate. "Pur mostrando una percezione del rischio allineata a quella del resto del Paese, emerge una notevole differenza nell’efficacia delle attività di contenimento dei rischi – sottolinea Bertani - le attività di prevenzione e gestione dei rischi al sud sono sei volte meno efficaci rispetto al nord est. Fattori ambientali e di contesto giocano certamente un ruolo importante". Le aziende del sud percepiscono il rischio, ma gli strumenti che hanno per fronteggiarlo sono meno efficaci. Infine il settore alimentare è il più attento ai rischi. È protagonista indiscusso - non soltanto per essere il tema dell’esposizione universale in corso - ma, dai dati dell’indagine Cineas-Mediobanca emerge che il settore alimentare è leader per la diffusione del risk management.
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