Nelle ultime settimane, quando la crisi di Alitalia si è fatta più drammatica, è ripartita la caccia al prossimo salvatore della ex compagnia di bandiera. L’unico nome che è circolato con insistenza è stato quello dei tedeschi di Lufthansa. C’è una logica, dietro questo rumor: Etihad, principale socio di Alitalia, negli ultimi mesi ha sviluppato una positiva e sorprendente collaborazione con la compagnia tedesca. Nonostante da anni Lufthansa sia in prima linea nella contestazione alla concorrenza sleale dei vettori del Golfo (accusati sia in Europa che negli Stati Uniti di operare sottocosto potendo contare sui portafogli degli emiri) lo scorso anno i tedeschi hanno aiutato il vettore di Abu Dhabi a gestire la crisi di Air Berlin, compagnia di cui Etihad aveva preso il controllo per sfidare proprio Lufthansa nella sua Germania ma che le è quasi fallito tra le mani.
Visto che la triste esperienza industriale di Air Berlin ha molte somiglianze con quella di Alitalia è stato facile vedere in Lufthansa il possibile salvatore della compagnia italiana. Tanto più che nelle ultime settimane si mormora di un'alleanza ancora più stretta tra Etihad e i tedeschi, con chi ipotizza (tra le smentite) che si possa arrivare addirittura a uno scambio di azioni. Già a febbraio le due aziende hanno annunciato un accordo sul catering, la manutenzione degli aerei e la condivisione commerciale di voli tra la Germania e Abu Dhabi ma anche di rotte verso il Sudamerica. Difficilmente però questa amicizia che si sta sviluppando tra emiri e tedeschi potrà coinvolgere anche Alitalia. Soprattutto ora che, affidando l’azienda ai commissari, Etihad ha chiuso la sua brutta avventura italiana.
Il fatto è che si parlava e si continuerà a parlare di Lufthansa perché di altri salvatori non si vede nemmeno l’ombra. Così com’è oggi Alitalia non può interessare a nessuno: strutturalmente in perdita, surclassata dalle low cost sulle rotte nazionali e con costi operativi insostenibili in assenza di redditizie rotte a lungo raggio la ex compagnia di bandiera è un baraccone ben poco appetibile. Ha due soli veri punti di forza: un marchio ancora affascinante per il suo legame con la poesia del turismo italiano e i diritti di volo per collegare l’Italia, cioè la terza economia dell’area euro e la quinta meta turistica più visitata al mondo, con il resto del pianeta.
L’Italia, come mercato aereo, interessa molto più della “sua” disastrata compagnia di volo. Lo sa bene Emirates, che nel 2015 ha avuto l’intelligenza di andare a occupare, con un volo Malpensa-New York, uno dei più preziosi tra i tanti spazi italiani lasciati liberi dalla debolezza di Alitalia. Per questo il lavoro del commissario che sarà scelto dal governo si prospetta complicato: è pieno di compagnie che aspettano il fallimento definitivo di Alitalia per prendersi la loro fetta di mercato aereo italiano senza doversi sobbarcare il costo della gestione del vettore tricolore. A meno che il traghettatore di Alitalia non sappia ridurre quei costi fino al punto da rendere l’azienda di nuovo appetibile. Ma non è esattamente quello che sperano i lavoratori che hanno rifiutato, in massa, il taglio del costo del lavoro chiesto da Etihad.