C’è poco da stare sereni. Più entrate contributive e il «sempre fondamentale» contributo dello Stato non hanno risolto lo squilibrio cronico dell’Inps – ha chiuso il 2013 con un disavanzo di 8,7 miliardi di euro e il 2014 di 7 miliardi – e nei prossimi anni il pericolo instabilità di bilancio dell’istituto potrebbe arrivare proprio dai nuovi contratti. Se, infatti, agli sgravi contributivi previsti dal Jobs act non faranno seguito «incrementi occupazionali effettivi», è l’allarme lanciato tra le righe dalla Corte dei conti nella sua relazione sull’ente di previdenza, cioè se prevarranno come sta già accadendo semplicemente le trasformazioni a tempo in- determinato di contratti esistenti, «sarà necessario un ulteriore incremento di trasferimenti» da parte dello Stato, il cui costo «ricadrebbe sulla fiscalità generale». I giudici contabili, insomma, non nascondono preoccupazione sulla possibilità che, al termine del triennio di sgravi totali previsti per le assunzioni a tempo indeterminato fatte nel 2015, ci sia un aumento delle cessazioni di contratto. In questo caso i rischi sarebbero due: un limitato aumento nella realtà dell’occupazione effettiva e dall’altro un aumento del ricorso all’indennità di disoccupazione, pur in assenza di contributi pagati (con conseguente aggravio per il bilancio pubblico). Di certo, per adesso, ci sono i numeri diffusi dall’Osservatorio sul precariato dell’Inps che certificano come l’esonero contributivo lo scorso anno abbia consentito di instaurare un milione e 440mila rapporti di lavoro a tempo indeterminato (la stima del governo era di 1,2 milioni), di cui poco più di un quarto sono trasformazioni di contratti a termine. Una cifra che sale a 5,4 milioni di attivazioni di contratti se si uniscono anche quelli a termine. Tuttavia, se dopo i trentasei mesi di decontribuzione prevista, è il ragionamento della Corte dei conti, la scadenza delle agevolazioni non si tradurrà in nuovi posti stabili di lavoro, gli sgravi da incentivi potrebbero diventare un
boomerang per lo Stato. Già ora, di fatto, è lui a «contenere lo squilibrio di gestione» – il conto economico ha chiuso in negativo nel 2014 a 12 miliardi di euro – anche dovuto al fatto che le prestazioni continuano a superare le entrate. La Corte dei conti, perciò sottolinea, che la spesa per le prestazioni, pur costante nel biennio (circa 303,4 miliardi contro entrate contributive di 211,4 miliardi), «è stata superiore al gettito contributivo», con un numero di servizi vicini a 21 milioni, per l’80% pensioni previdenziali. «Più incisive» invece, conclude la magistratura contabile, le azioni di contrasto agli abusi nei contratti atipici, a differenza di quelle sull’invalidità civile «non pienamente attuate». Anche se con i controlli straordinari nel 2014 sono state revocate 43mila prestazioni di invalidità civile, il 26% di quelle esaminate. Eppure, persino davanti a un quadro non proprio economicamente florido, i cittadini possono stare tranquilli. Parola del presidente Tito Boeri che, parlando due giorni fa in audizione alla Camera, non solo rassicura – «l’Inps non sta fallendo» – ma ribadisce che «anche se fallisse, e non sta avvenendo, i cittadini continueranno ad avere le loro prestazioni e le loro pensioni».