Le lavoratrici in allattamento che, godendo dei relativi riposi giornalieri, lavorano meno di sei ore al giorno non hanno diritto alle pause pranzo né ai buoni pasto. Lo precisa il ministero del Lavoro rispondendo a un quesito dell’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, Ispra (interpello n. 2/2019). Il quesito riguarda, appunto, il diritto alla pausa pranzo e alla conseguente attribuzione del cosiddetto buono-pasto, o alla fruizione del servizio mensa, da parte delle lavoratrici che, godendo dei riposi giornalieri per allattamento (due ovvero un’ora giornaliere, anche cumulabili, a seconda che l’orario di lavoro sia o meno superiore a sei ore), sono presenti al lavoro per cinque ore e 12 minuti, cioè per una durata inferiore a sei ore giornaliere, limite eccedendo il quale scatta il diritto all’intervallo mensa. L’Ispra chiede di sapere se, in questi casi, si deve procedere alla decurtazione dei 30 minuti previsti per la pausa pranzo e se, per altro verso, la lavoratrice ha facoltà di rinunciare alla pausa pranzo e/o al buono pasto, per non vedere decurtare le ore considerate come lavoro effettivo.
I due istituti (riposi per allattamento e pausa pranzo), spiega il ministero, hanno scopi distinti: il primo è volto a favorire la conciliazione tra la vita professionale e vita familiare; il secondo è finalizzato al recupero delle energie e all’eventuale consumazione del pasto con la relativa norma che non sembra lasciare dubbi circa il riferimento ad attività lavorativa effettivamente prestata. Ciò premesso, secondo il ministero è da escludere che una presenza effettiva della lavoratrice nella sede di lavoro per cinque ore e 12 minuti dia diritto alla pausa. Pertanto, non si deve procedere alla decurtazione dei 30 minuti dal totale delle ore effettivamente lavorate dalla lavoratrice.