giovedì 22 gennaio 2015
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Fino all’ultimo minuto a Francoforte hanno messo a punto i dettagli del "compromesso" che oggi potrebbe fare svoltare pagina alla Banca centrale europea (Bce) con il varo delle misure monetarie non convenzionali. Ove non si giungesse a un’intesa, l’intera unione monetaria entrerebbe in grave crisi. Se, in aggiunta alla paralisi della Bce, le elezioni in Grecia fossero la premessa della secessione della Repubblica Ellenica dall’area euro si entrerebbe in una fase complessa di frammentazione del mercato finanziario europeo.Le misure non convenzionali più semplici sono quelle denominate Quantitative easing (QE), l’acquisto di obbligazione degli Stati membri al fine di alleviare il peso del debito pubblico ed immettere liquidità. Sotto il profilo macroeconomico, a fronte del rischio di una prolungata deflazione, il QE ha una sua giustificazione, pur non rappresentando un toccasana. E deve essere accompagnato da riforme strutturali e da adeguate politiche di bilancio.Ci sono tuttavia numerosi interrogativi nel finalizzare un compromesso tra le varie anime Bce. Innanzitutto, l’entità del Qe. Numerose  simulazioni econometriche concordano che al di sotto di 1.000 miliardi servirebbe ben poco. C’è, poi, il nodo riguardo a come procedere con l’acquisto di titoli: in modo proporzionale (tra i vari Stati) in base alla loro partecipazione al capitale Bce o privilegiando gli Stati in maggiori difficoltà oppure ancora quelli i cui titoli hanno le migliori valutazioni? Ciascuno di questi tre metodi ha implicazioni nettamente differenti rispetto agli altri due. È probabile che, per uscire di impaccio, si opti per una ripartizione proporzionale.Ma gli Stati i cui titoli sono più graditi ai mercati (Germania, Francia e Finlandia) non intendono accollarsi il rischio dei PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna). Una possibile via d’uscita potrebbe essere quella di far sì che gli acquisti vengano effettuati dalle Banche centrali nazionali con il coordinamento Bce. Per l’Italia, però, ciò vorrebbe dire mettere una pietra sopra al "divorzio" tra Tesoro e Banca d’Italia sancito nel 1981, in quanto, nell’eventualità di difficoltà a collocare emissioni, Via Nazionale dovrebbe dare una mano a Via Venti Settembre.
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