martedì 15 luglio 2014
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«Il vero nodo è uno solo: scegliere la lotta alla povertà come punto qualificante del programma di governo. Finché l’esecutivo non compie questa scelta la situazione può solo peggiorare». Cristiano Gori – docente alla Cattolica di Milano e tra i promotori dell’Alleanza contro la povertà che riunisce Caritas, Acli, Cisl e associazioni del Terzo settore – reagisce così agli ultimi dati Istat sulla povertà.È una vera e propria esplosione: 1,2 milioni di persone in più cadute in povertà assoluta in un anno appena...Sì, una crescita fortissima. L’accelerazione di un fenomeno in atto da tempo. Prima della crisi economica eravamo al 4,4% di incidenza della povertà assoluta. Nel 2013 abbiamo toccato il 9,9% cioè un punto oltre il doppio. Con un’esplosione al Sud, ma una forte crescita anche al Nord. Un aumento che ha travolto gli argini, colpendo anche fasce finora al riparo.Si tratta solo del portato della crisi o ci sono altre determinanti. E quindi basta attendere che la marea si rialzi per far galleggiare tutte le barche o serve qualcos’altro.La crisi certamente è stata determinante nel peggiorare la situazione di centinaia di migliaia di persone. Ma attenzione: la situazione dei nostri servizi pubblici era già precaria prima della crisi, le nostre politiche di welfare erano già praticamente inesistenti. E in questi anni si sono ulteriormente ridotte, in particolare con il taglio dei trasferimenti ai Comuni. La crisi ha dunque impattato su un tessuto già logoro, pieno di buchi, senza che nessuno ci mettesse neppure una toppa, se non gli interventi di cassa integrazione per i lavoratori. Tutti gli economisti sono poi concordi nel prevedere che, quando pure arriverà la ripresa, i livelli di occupazione e di reddito non torneranno gli stessi di prima se non tra molti anni. Nel frattempo, che cosa si fa?L’alleanza contro la povertà propone l’avvio di un Piano nazionale contro la povertà che introduca il Reis, il reddito di inclusione sociale accompagnato da azioni di integrazione nel mercato del lavoro e nella società. Il governo, però, venerdì scorso ha risposto che non ci soldi né infrastrutture per farlo... Il solito no, insomma.Voglio cercare di vederlo in positivo: è stato l’avvio di un confronto con un governo che finora si è occupato di riforma del lavoro e del Terzo settore. Speriamo che ora prenda atto, di fronte a queste cifre drammatiche, che anche il tema della lotta alla povertà non può essere accantonato dicendo semplicemente non ci sono soldi o che abbiamo bisogno di costruire prima un’anagrafe dell’assistenza.Anche perché se si trovano 10 miliardi per il bonus da 80 euro non sarà difficile trovarne 1,5 per avviare la prima tranche di politiche anti-povertà...Certo, è una questione di scelte e di priorità. Il Piano nazionale che abbiamo messo a punto – e che non si discosta molto da un’analoga proposta elaborata lo scorso anno dall’allora ministro Enrico Giovannini – costa a regime intorno ai 7 miliardi di euro. Si può prevedere un percorso di introduzione di 4-5 anni con un impegno per anno di 1,5 miliardi di euro appunto, partendo dai più bisognosi fra i bisognosi. E in 4-5 anni c’è tutto il tempo per costruire anche le infrastrutture e i servizi di accompagnamento necessari. Il rischio è quello di continuare nelle piccole sperimentazioni, con fondi recuperati qua e là, senza riuscire a incidere realmente. E invece occorre che questo governo riformista metta la lotta alla povertà fra le sue priorità.Il timore è quello di un nuovo assistenzialismo, con alcune persone che poi si limiteranno a sopravvivere con quel minimo di reddito garantito senza fare nient’altro...Questo rischio esisterà sempre. Il nostro piano prevede monitoraggi e politiche di attivazione delle persone. Ma certo qualcuno non si attiverà per nulla: per volontà o perché non potrà farlo per le sue condizioni critiche. Ma possiamo pensare per questo di continuare a non far nulla? Possiamo pensarlo ancora di fronte a 6 milioni di persone, a 1,5 milioni di bambini in miseria?
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