Delroba con le sue compagne visita le case delle donne rimaste sole - .
Con questa e decine di altre testimonianze, storie, interviste e lettere, le giornaliste di Avvenire fino all'8 marzo daranno voce alle bambine, ragazze e donne afghane (QUI TUTTI GLI ARTICOLI). I taleban hanno vietano loro di studiare dopo i 12 anni, frequentare l'università, lavorare, persino uscire a passeggiare in un parco e praticare sport. Noi vogliamo tornare a puntare i riflettori su di loro, per non lasciarle sole e non dimenticarle. E per trasformare le parole in azione, invitiamo i lettori a contribuire al finanziamento di un progetto di sostegno scolastico portato avanti da partner locali con l'appoggio della Caritas. QUI IL PROGETTO E COME CONTRIBUIRE
Quando i taleban si sono presentati alla porta e hanno tolto l’insegna con il nome della sua organizzazione femminile ormai illegale, lei e le altre donne l’hanno sostituita affiggendo una targa più piccola. Sopra c’è scritto "scuola coranica". «Lo abbiamo fatto perché non ci creassero problemi. L’apertura di centri religiosi per ragazze è permessa. Abbiamo invitato le nostre corsiste a non dire cosa realmente facciamo qui, nel caso qualcuno lo chieda».
Delroba Qahraman ha 24 anni, vive a Herat, proviene da una famiglia umile. Il nome non è quello vero, lo ha scelto lei per mantenere segreta la sua identità. «Ecco da dove prendo la mia motivazione, ecco la ragione per cui non voglio cedere», dice, e per alcuni minuti la conversazione online resta sospesa, mentre la ragazza dispone uno accanto all’altro sul tappeto rosso arabescato di casa sua una trentina di certificati di merito e attestati di frequenza che ha ottenuto negli ultimi anni. Alla fine scatta una foto e la condivide su WhatsApp. «Così si capisce meglio perché non mi sottometto alle decisioni dei taleban. Ho lavorato sodo, ho studiato tanto, ho nutrito speranze per il futuro».
Dall’arrivo dei nuovi padroni dell’Afghanistan, un anno e mezzo fa, i loro divieti emanati per decreto, uno dopo l’altro, hanno colpito lei e le altre ragazze in tutto quello che facevano. A Delroba non è più concesso studiare sociologia all’università, ma lei cerca ugualmente di proseguire gli studi, navigando online. «Abbiamo accettato ogni tipo di restrizione fintanto che ci permettevano di frequentare. L’ingresso separato alle classi, la perdita degli insegnanti maschi, l’obbligo di coprirci, anche il viso. Ma non era mai abbastanza, i taleban non erano mai soddisfatti e alla fine hanno chiuso l’ateneo».
Non le è nemmeno più permesso di insegnare ad altre ragazze discipline proibite come le lingue straniere. Lei però continua a farlo, di nascosto. Non potrebbe più lavorare per la Ong di Herat dove fa la volontaria, attività bandita per le donne lo scorso dicembre. Ma Delroba ha accettato il ruolo di responsabile mentre la direttrice, malata, si sta curando. Corsi, programmi di sostegno economico, visite nelle case di madri vedove rimaste sole con i figli, ha di continuo innumerevoli compiti da sbrigare.
In una modesta abitazione di appena una stanza, una donna di nome Halima vive con cinque figli. Non ha studiato quanto Delroba, non frequenta i corsi dell’associazione, ma i loro destini si sono ugualmente incrociati. Durante l'attacco taleban per la conquista di Herat, nel 2021, Halima ha perso suo marito, rimasto ucciso da un colpo di arma da fuoco. Poi ha perduto il suo lavoro quando la scuola femminile in cui era inserviente è stata chiusa dal nuovo Emirato islamico. Le figlie adolescenti sono confinante a casa, come lei. L’unico a lavorare è il suo bambino di 10 anni. Fa il calzolaio, mestiere che era di suo padre, per un guadagno di un euro al giorno. Delroba è andata a farle visita, ha stilato un rapporto dettagliato sulla sua situazione, ha scattato foto dell’abitazione, si è appuntata le necessità della famiglia. Ha preso in carico per conto dell’associazione le sventure di Halima.
«Ovunque si rivolga lo sguardo, ci sono persone che con l’arrivo dei taleban hanno perduto l’intero reddito familiare. Ad esempio i proprietari di bagni pubblici e parchi, chiusi alle donne, sono falliti e hanno licenziato i dipendenti. La serrata degli istituti femminili ha reso disoccupate migliaia di insegnanti e inservienti».
Delroba e le sue compagne mentre fanno lezione alle ragazze espulse dalle scuole - .
Delroba dice di non avere paura di incontrare i taleban mentre circola in città. «Temo solo il giorno in cui le ragazze del mio Paese saranno tutte analfabete». Poi però racconta degli stati d’animo che la agitano quando percorre a piedi i lunghi tratti di strada per raggiungere le case delle famiglie che assiste. «A volte mi spavento per uno sguardo, oppure cammino piena di rabbia e piango. Fuori casa, questa città sembra appartenere solo agli uomini. È una città di maschi, si vedono solo loro».
In sale da tè o ristoranti le donne non possono più mettere piede, nemmeno al fianco di padri o mariti. «Non incontro più nessuna delle mie amiche. Nelle condizioni in cui versa l’Afghanistan, tutti noi viviamo una situazione difficile. So però che la mia attività può fare la differenza per qualcuno e dimostrare umanità mi fa sentire bene». Così cerca la sua rivincita su quello che le hanno fatto i taleban, non solo continuando a studiare online o insegnando di nascosto alle altre ragazze. Delroba trova il suo riscatto provando a rimettere insieme i cocci delle vite di Halima e delle altre donne, dopo che i taleban sono arrivati per mandarle in frantumi.