Don Maurizio insieme a Luigi - .
Gesù inviò i discepoli a due a due perché uno potesse sostenere l’altro quando la giornata pesa, le forze scemano, la tentazione avanza. Ma, soprattutto, quando la gioia – prepotente – irrompe. Non è bene che l’uomo sia solo. La solitudine - da ricercare e salvaguardare - non è mai fuga dagli altri ma esigenza di stare con te stesso per meglio incontrarli e servirli dopo.
L’amico è dono e impegno. Presenza di Dio nei giorni feriali, specchio in cui ti guardi, spalla su cui ti appoggi. E se – può succedere, e succede – qualcuno viene meno e ti delude, non scoraggiarti, ma fermati, aguzza lo sguardo, scruta l’orizzonte, tieniti pronto: qualcosa di nuovo sta avanzando.
I miei amici: discepoli e maestri, sentinelle discrete e cercatori d’oro. I miei amici laici, un mondo in continua espansione. Li cerco, mi cercano, quando la tempesta infuria e quando il cuore canta. Senza di loro non sempre scorgerei le trappole che mi insidiano il cammino; e così anche senza di me qualcuno si sarebbe già smarrito nei meandri della vita. Dio stesso mi ordina di essere amico e di fare affidamento sugli amici. “È rischioso”, borbotta qualcuno. È vero, ma in questo mondo tutto è rischioso, finanche bere un sorso d’acqua o fare un tuffo in mare.
Cari compagni del mio pellegrinaggio in questa unica e irripetibile avventura della vita, bella da morire, ma anche tanto tragica e spietata, con umiltà vi dico – ma lo sapete già – che ho bisogno di voi, del vostro affetto, dei vostri consigli, dei vostri stimoli, della vostra intelligente e garbata ironia. Per essere uomo, per essere prete; per non essere un uomo squallido, un prete meschino. Per non illudermi, non gonfiarmi, non deprimermi. E – lo so – voi avete bisogno di me, del mio celibato, della mia caparbietà, del mio sacerdozio. Dell’Eucaristia che, indegnamente, vi dono e mi dono.
I miei amici laici. Le nostre vocazioni si sono intrecciate. Avanzano insieme. S’illuminano a vicenda. Vi chiedo perdono se dovendo raccontare ai lettori di “Avvenire” una storia, ho scelto quella di Luigi. Sono certo che farà piacere anche a voi. So quanto gli volete bene. Ci conoscemmo – per caso? esiste il caso? – a uno dei tanti convegni sulla legalità, una dozzina di anni or sono. Non lo sapeva, non potevamo saperlo, ma aveva bisogno di noi. Ce ne accorgemmo, allargammo la tenda, lasciammo fare alla Provvidenza.
Era un giovane industriale napoletano, felice di dare lavoro a decine di famiglie. La vita gli sorrideva. Gli affari andavano a gonfie vele. Grandi progetti per il futuro. Tutto procedeva per il meglio, fino a quando non arrivarono “loro”, le iene fameliche, i camorristi nostrani, che affossano l’economia e condannano a morte il territorio. “Se vuoi continuare a produrre e commerciare luci e lampadari – gli dissero con fare spocchioso e tracotante – devi pagare. Dobbiamo vivere tutti. Non puoi pensare solo a te stesso. E guai a te e alla tua famiglia se solo tenti di fare il furbo”. E se ne andarono facendo rombare i motori delle potenti moto sulle quali erano montati.
Che fare? Pagare? Pagano tutti. Ribellarsi? Gli scaltri dicono che non conviene, è inutile, pericoloso. “Quelli” non guardano in faccia a nessuno; sono vigliacchi, si vendicano, ti rovinano, ti ammazzano. Luigi si piega. A malincuore, obbedisce. La gallina dalle uova d’oro ha fatto il suo ingresso nel pollaio maledetto. “Loro” alzano continuamente il tiro. Non si accontentano mai. Chiedono. Chiedono. Vogliono di più, sempre di più. Arroganti. Invidiosi. Blasfemi. Stupidi. Sanguinari. Il pizzo viene pagato a scadenze settimanali. I ritardi non sono tollerati. Denaro contante per non lasciare tracce, quelle stesse tracce che, nei processi, invano, vanno cercando i giudici per poterli condannare.
A ogni pur minimo tentativo di ribellione partono le intimidazioni. Dalle minacce agli schiaffi in pieno viso, il passo è breve. Luigi viene sequestrato. Rinchiuso in uno scantinato puzzolente alle porte di Secondigliano. Soldi. Vogliono i soldi. Tanti. Ma che razza di vita è questa? Basta! Luigi si ribella. Ne parla in famiglia. Chi gli vuole bene, trema. Lo sconsiglia. Piange. Lo invoca di non farlo. Lui va avanti. Denuncia. Gli bruciano i locali. Denuncia ancora. Lo inseguono. Gli tagliano la strada. Finisce all’ospedale. In coma.
La vita di questo giovane è in pericolo. Trasloca in continuazione. Lo Stato gli corre incontro. Arriva la scorta. Vita blindata. La via del calvario è lunga e tortuosa. Tribunali. Processi. Condanne. Assoluzioni. Rabbia. Burocrazia pedante. Pianti. Carte. Avvocati. Paura. Speranza. Un’esistenza stravolta. La ricchezza di una volta è ormai un ricordo. Dove passano “costoro” avanza il deserto. Il giardino profumato lascia lo spazio alla discarica. Si combatte. Ognuno con le armi che ha a disposizione. A nessuno è consentito di tirarsi indietro. Unica certezza: il male non vincerà. Anche se nessuno può prevedere il tempo in cui la camorra sarà relegata solo nei libri di storia.
Luigi è entrato nelle nostre vite e noi nella sua. Aveva bisogno di noi, della nostra amicizia, della nostra lealtà, della nostra fede, della nostra comunità parrocchiale. E noi di lui, delle sue lacrime, del suo dolore, del suo grido di rabbia, del suo coraggio, delle sue paure, della sua sete di giustizia. La sua storia, raccontata nel libro “La paura non perdona”, è una lucida e drammatica testimonianza di come la vita di un giovane industriale napoletano è stata devastata dalla camorra maledetta.
Luigi Leonardi, un giovane che ha pagato un prezzo altissimo ai nemici dello Stato ma che ha tenuta alta, per noi tutti, la bandiera della dignità e della libertà. Un uomo al quale vorrei che l’Italia e gli italiani tutti dicessero semplicemente “grazie”.