Papa Francesco con i vescovi dell'Umbria in visita ad limina - Vatican Media
La parola pace – e in particolare la pace tra russi e ucraini – trova eco anche nelle visite ad limina dei vescovi italiani. È avvenuto quando i presuli dell’Umbria, la terra di san Francesco, la settimana scorsa hanno incontrato a Roma il Papa che porta il nome del Poverello di Assisi. Lo racconta l’arcivescovo di Spoleto-Norcia Renato Boccardo, presidente dell’episcopato della Regione ecclesiastica umbra. «Il Papa ce lo ha ripetuto con determinazione – riferisce il presule –. Non c’è un’altra soluzione, bisogna che si fermino e siedano intorno ad un tavolo. Il Papa ci ha confermato che continuerà a dirlo, anche se sa che potranno esserci reazioni negative. Si deve riconoscere che l’unica forma per trovare una via di uscita è cessare le reciproche ostilità e sedersi attorno ad un tavolo per un confronto serio e produttivo».
Eccellenza, come è stato l’incontro con papa Francesco?
All’insegna della familiarità e della cordialità. Il Papa ci invitato a parlare liberamente e a porre domande. Sono state due ore di conversazione assolutamente informale, a largo raggio, in cui ciascuno di noi ha raccontato a grandi linee la vita della propria diocesi, chiedendo al Papa un commento, una indicazione, un’opinione su un aspetto piuttosto che su un altro. Un dialogo insomma che ha dato “concretezza” alla visita ad limina, che altro non è che il venire dei vescovi a Roma per “raccontare” a Pietro le nostre Chiese, quello che viviamo giorno per giorno, le luci e le ombre, le consolazioni e le delusioni che incontriamo nel nostro ministero. Raccontare tutto questo è molto più che fare una semplice cronaca, è “affidare” a Pietro il cammino delle nostre Chiese locali e ricevere da Lui conferma e conforto.
Come avete trovato il Papa?
Come lo si vede; con difficoltà nella deambulazione, ma perfettamente presente e vivace nella conversazione e nel dialogo. E senza mai perdere il suo humour. Dopo averci accolto in piedi, ci ha fatto accomodare e ha detto sorridendo: «Adesso vi raggiungo con la sedia gestatoria», chiamando così la carrozzella che usa abitualmente.
I temi trattati?
Quelli comuni ormai a tutta la Penisola. Un mondo che perde i suoi punti di riferimento; la necessità di un annuncio del Vangelo continuo e rinnovato, soprattutto nel linguaggio; l’importanza di non dare per scontato un ambiente cristiano che non esiste più; la necessità di esaminare con occhio cordiale, benevolo, la realtà, senza illudersi che il messaggio cristiano passi quasi automaticamente da una generazione all’altra. Siamo ormai in un mondo sempre più scristianizzato e individualista, e in questa situazione dobbiamo trovare il modo di proporre la novità, la bellezza, la fecondità del Vangelo. Come ci sprona papa Francesco nella sua esortazione programmatica Evangelii Gaudium.
C’è stato qualche riferimento specifico del Papa alla realtà umbra?
Certo. Papa Francesco ci ha chiesto della vita cristiana e di quanto si muove nella società della nostra regione. Ognuno ha riferito qualcosa circa la situazione: come ho già accennato, la secolarizzazione avanza anche da noi; poi la diminuzione significativa dei cosiddetti praticanti registrata dopo il Covid; la difficoltà di entrare in sintonia con il mondo giovanile, dovuta anche al fatto che la maggioranza dei nostri giovani, finite le scuole superiori, lasciano le nostre contrade per studio o per lavoro. A tutto ciò dobbiamo aggiungere la crisi sociale determinata dalla carenza di opportunità di lavoro; le grandi ditte che piano piano si sono andate riducendo per poi spegnersi; lo spopolamento progressivo delle zone montane. La nostra diocesi di Spoleto-Norcia ha un problema in più.
Quale?
Soffriamo ancora le conseguenze del terremoto: dopo quasi otto anni abbiamo ancora molte persone costrette a vivere fuori casa; 362 chiese sono state gravemente danneggiate e rese inutilizzabili. Ho detto al Papa della fatica della nostra gente e della presenza della Chiesa, con i sacerdoti che non si sono mai allontanati dai propri fedeli e con la Caritas diocesana che, sostenuta da quella nazionale, continua ad assicurare presenza e sostegno.
Avete affrontato anche la questione delle vocazioni?
Sì. Siamo una terra di santi, ma dobbiamo registrare attualmente un numero limitato di risposte alla chiamata al presbiterato e alla vita consacrata. Sono convinto che il Signore continui a chiamare, ma è venuta meno la disponibilità a rispondere. Il Papa ci ha raccomandato di stare vicino ai giovani, di offrire loro delle occasioni di discernimento, in modo che possano individuare tra le diverse voci dalle quali sono circondati e nelle quali sono immersi anche la voce di Dio che chiama.
Eccellenza, lei ha già detto che il Papa vi ha chiesto di rivolgere a suo nome un caloroso saluto ai vostri sacerdoti.
Proprio così. Il Pontefice ci ha raccomandato la vicinanza ai sacerdoti. Lo ha fatto ripetendo anche a noi quello che ha detto riguardo alle quattro vicinanze del vescovo: a Dio nella preghiera e nell’adorazione, tra noi vescovi nella fraternità e nell’amicizia, con i nostri preti («tenete sempre acceso il cellulare per loro!», ha ribadito) e infine con il popolo di Dio che ci ha generati e che ora dobbiamo servire. E poi ci ha detto di portare ai nostri preti – quando celebreremo la Messa del Crisma – l’affetto, la vicinanza, la gratitudine del Papa per il loro ministero.